Non mi considero un jazzista tradizionale. È più probabile che ciò accada nel jazz afroamericano, è un genere diverso. Mi considero solo un improvvisatore, mi adatto a diversi generi, se la musica è buona, non importa se è country o western, cantautore o compositore contemporaneo. Finché mi piace, non importa, i generi sono come scatole e per me si riducono.
Nils Petter Molvær
C’erano giorni, sull’Atlantico, senza una nuvola all’orizzonte, in cui il mare e il cielo erano dello stesso azzurro profondo. In quei giorni un sole tagliente illuminava masse d’acqua in tumulto, le creste candide delle onde si strappavano in brandelli di schiuma, la nave rollava su quelle enormi montagne d’acqua e un vento implacabile sollevava un pulviscolo di spruzzi che accendeva fugaci arcobaleni attorno alla prua. Era quel genere di giorni per cui certe persone sarebbero pronte, sia pure in senso figurato, a dare la vita. Ma che la maggioranza darebbe qualsiasi cosa per evitare, non fosse altro che per paura della morte. O della vita.
Björn Larsson
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Quello che ha fatto Miles Davis con dischi come “In a Silent Way” e “Bitches Brew”, oltre a tutti gli album tra la fine degli anni 60 ed i primi anni 70 è stato letteralmente scoperchiare un vaso di Pandora. In che senso? Nel senso che il linguaggio del jazz è letteralmente esploso, aprendosi a qualsiasi influenza ed ibridandosi in ogni modo possibile, concentrando l’azione compositiva non più solo sul dialogo tra improvvisazioni, ma entrando nell’universo timbrico, dove il suono è parte integrante della composizione: un mondo nuovo. Nils Petter Molvær esce da quel vaso di Pandora, imbevuto di atmosfere nordiche, silenzi, fiordi, spazi che si aprono verso l’oceano, atmosfere malinconiche e riflessive, intime, raccolte, prossime alla musica contemporanea. Dove immaginare mai i suoi dischi d’esordio se non nella leggendaria casa discografica ECM?
Molvær è considerato uno dei padri del cosiddetto nu jazz, mix di jazz avveniristico, ambient music, house, elettronica, breakbeats, in una fusione, alterazione, mutazione di linguaggi che si incontrano e si fondono su un terreno sonoro fatto di timbriche e ricerche che nel suono digitale cercano appunto di ridefinire i confini del suono. Il trombettista norvegese ha assorbito nel suo percorso influenze diverse – da Miles Davis (ne abbiamo parlato QUI e QUI) a Jon Hassell (QUI la puntata dedicata al grande innovatore), da Don Cherry a Brian Eno (trattato da Mr Pian Piano QUI), a Bill Laswell (di cui parleremo presto) – facendole confluire in un sound personalissimo in cui si colgono anche influssi etnici, soprattutto orientali, insieme ad un senso poetico che pervade anche i momenti più ritmicamente incalzanti. Facile, visti i continui rimandi, sostenere che le influenze di Nils Petter Molvær sono care anche a Mr Pian Piano e ancora una volta è l’eclettismo l’atteggiamento dei musicisti che amiamo, il saltellare dall’elettronica alle percussioni del mitico Mino Cinelu senza chiudersi in nessuna parrocchia musicale.
La nebbia avvolge la pianura e tampona la luce del sole oltre la sua coltre, soffoca il sole, lascia la brina per ore tra l’erba ghiacciata e riempie gli alberi di uno sgocciolare continuo, come se i loro rami catturassero l’essenza liquida della foschia. La tromba mi accompagna tra le tenebre che lente si appoggiano sul gelo e pian piano ingoiano il paesaggio. La stanchezza endemica di dover vedere si perde e trova riposo nell’indefinito, tra forme accennate che lentamente scompaiono tra le tenebre. La tromba del norvegese mi accompagna lenta e viene voglia di sdraiarsi su questo prato che scricchiola sotto i piedi per il freddo. Chiudo gli occhi, la barba bagnata, mi fermo e il cane mi guarda per capire quali siano le mie intenzioni. Sospeso.
Dalla nebbia esce questa musica ovattata, dall’indefinito, dal buio, dalle parole sussurrate nel buio. Jazz imbastardito dall’elettronica, gioco di un musicista randagio che cerca qua e là, ma conserva con chiarezza l’attenzione per il suono come elemento poetico del suo discorso. Torno dalla passeggiata, mi tolgo il berretto umido, la giacca a vento e preparo la playlista da regalarvi. CLICCATE QUI per un viaggio onirico insieme a Mr Pian Piano verso nord con la tromba di Molvær, tra i fiordi ed oltre il Circolo Polare Artico dove tutto tace o se preferite in noi stessi, nel nostro respirare e nelle pause tra un respiro e l’altro.
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Nils Petter Molvær: jazz, electronic.
I don’t look at myself like a traditional jazz player. That it more likely to happen in Afro-American jazz, it is a different kind of thing. I just look at myself like an improviser, I adapt to different genres, if the music is good, it doesn’t matter if it is country or western, singer-songwriter or contemporary composer. As long as I like it, it doesn’t matter, genres are like boxes and they are diminishing it for me.
Nils Petter Molvær
There were days, on the Atlantic, without a cloud on the horizon, when the sea and the sky were the same deep blue. On those days a sharp sun would illuminate masses of roiling water, the white crests of the waves would rip into shreds of foam, the ship would roll over those huge mountains of water, and a relentless wind would raise a dusting of spray that lit fleeting rainbows around the bow. It was the kind of day that some people would be ready, albeit figuratively speaking, to give their lives for. But which the majority would give anything to avoid, if only out of fear of death. Or life.
Björn Larsson
What Miles Davis did with records like "In a Silent Way" and "Bitches Brew," as well as all the albums in the late 1960s and early 1970s was literally uncover a Pandora's box. In what sense? In the sense that the language of jazz literally exploded, opening up to any influence and hybridizing in every possible way, focusing compositional action no longer just on the dialogue between improvisations, but entering the timbral universe, where sound is an integral part of composition-a new world. Nils Petter Molvær comes out of that Pandora's box, imbued with Nordic atmospheres, silences, fjords, spaces that open to the ocean, melancholic and reflective atmospheres, intimate, collected, close to contemporary music. Where ever to imagine his debut records if not on the legendary ECM label?
Molvær is considered one of the fathers of so-called nu jazz, a mix of futuristic jazz, ambient music, house, electronica, and breakbeats, in a fusion, alteration, and mutation of languages that meet and merge on a sonic terrain made up of timbres and research that in digital sound seek precisely to redefine the boundaries of sound. The Norwegian trumpeter has absorbed diverse influences along the way - from Miles Davis to Jon Hassell, from Don Cherry to Brian Eno, to Bill Laswell, bringing them together in a highly personal sound in which ethnic influences, especially from the East, are also captured, along with a poetic sense that pervades even the most rhythmically driven moments. It is easy, given the constant cross-references, to argue that Nils Petter Molvær's influences are also dear to Mr. Pian Piano, and once again it is eclecticism that is the attitude of the musicians we love, the leaping from electronics to the percussion of the legendary Mino Cinelu without locking oneself into any musical parish.
The fog envelops the plain and buffers the sunlight beyond its blanket, smothers the sun, leaves frost for hours among the frozen grass, and fills the trees with a continuous dripping, as if their branches capture the liquid essence of the mist. The trumpet accompanies me through the darkness that slowly rests on the frost and slowly swallows the landscape. The endemic weariness of having to see is lost and finds rest in the indefinite, among hinted shapes that slowly disappear among the darkness. The Norwegian's bugle accompanies me slowly, and one feels like lying down on this meadow that crunches underfoot from the cold. I close my eyes, my beard wet, I stop and the dog looks at me to see what my intentions are. Suspended.
Out of the fog comes this muffled music, from the indefinite, from the dark, from words whispered in the dark. Jazz bastardized by electronics, the play of a stray musician who searches here and there, but clearly retains a focus on sound as the poetic element of his discourse. I return from my walk, take off my damp cap and windbreaker, and prepare the playlist to give to you. CLICK HERE for a dreamy journey together with Mr. Pian Piano northward with Molvær's trumpet, among the fjords and beyond the Arctic Circle where all is silent or if you prefer in ourselves, in our breathing and in the pauses between breaths.
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