È piuttosto interessante come funziona tra noi due, perché siamo davvero agli opposti. La gente ci chiede perché stiamo insieme da così tanto tempo, e di certo non è perché siamo sempre innamorati e affiatati. Questo non significa neanche che litighiamo continuamente. Siamo solo diversi, sai? Ma alla nostra veneranda età, abbiamo finalmente capito che va bene così.
Rick Smith
La familiarità non è sempre una cosa positiva... a volte serve una piccola crisi per rimescolare le carte.
Karl Hyde
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Negli anni 90 quando gli Underworld entrano in tutte le classifiche con il loro singolo “Born Slippy” i più ignoravano di trovarsi davanti musicisti che calcavano le scene da oltre 10 anni. Tutto incomincia nei primi anni 80 del secolo scorso con i Freur, una band che piazzò nelle classifiche di tutta Europa un singolo che le vecchie carampane come il sottoscritto ricorderanno: “Doot, Doot”. Dentro i Freur c’erano già quelli che sarebbero a breve diventati gli Underworld. Qual è la cifra poetica del loro lavoro? Una particolare fusione tra reminescenze new wave, elettronica storica con chiari rimandi ai Tangerine Dream ed agli ossessivi crescendo ritmici dei NEU!, ma anche e soprattutto tecno, da Detroit in poi. Il tutto frullato insieme e con il chiaro intento di non creare la caratteristica musica strumentale di genere, ma lasciare uno spazio centrale alla voce di Karl Hyde ed alle sue tessiture poetiche, alle sue narrazioni allucinate. Ne escono delle “canzoni” aliene di rara potenza. Ma partiamo dalla preistoria, dai Freur.
C’è negli Underworld il recupero di una dimensione sonora tribale e credo che questa sia la forza intrinseca del progetto. Le tessiture ritmiche che saturano le composizioni spesso in dei crescendo sono affiancante dai cantati di Hyde che martellano a loro volta l’ascoltatore o lo cullano, rafforzando ulteriormente la musica a cui si sovrappongono. Ne escono composizioni monolitiche di grande impatto, aride di variazioni che non siano appunto inserite a rafforzare e sottolineare le idee di partenza. Gli Underworld assomigliano ad una valanga che scende da una montagna. Inizia con poco e arriva a valle con una massa enorme, capace di travolgere ogni cosa.
A queste canzoni “a valanga” si contrappongono brani con una dimensione particolarmente malinconica, esistenziale, che accompagnano chi ascolta in una dimensione particolarmente poetica. Si sprofonda in una sorta di dolce ipnosi, uno stordimento stupefacente di frequenze e voci salmodiate, a tratti scandite come in una preghiera o nella ripetizione di un mantra a suo modo da protrarre all’infinito. La trance e la reiterazione come metodo. A queste due famiglie si sono aggiunte album dopo album, composizioni strumentali con una chiara impronta da colonna sonora, eclettiche e a tratti tangenziali alla musica elettronica. L’impasto complessivo diventa interessante per comporre una playlista degna di (((RadioPianPiano))).
Riprendiamo le citazioni di Rick Smith e Karl Hyde per divagare. Smith dice qualcosa di bello sullo stare insieme, coesistere, nelle differenze, mentre Hyde sottolinea come l’abitudine, la familiarità con l’altro, vada a tratti ridiscussa per dare nuova linfa ad una relazione. Sono due abilità difficili, la vicinanza nelle differenze e il rivolgimento per riportare fertilità in una relazione che magari vive di rituali collaudati, ma inevitabilmente destinati ad usurarsi nell’abitudine. Se ci pensiamo sono ragionamenti che possono fare da trampolino per ragionare anche in termini politici e sociali e non solo realazionali ed individuali. Cosa sono le nostre società se non interessate dall’evidente difficoltà di stare insieme nelle differenze? E cosa le affligge se non la necessità di rinnovarsi e rifondarsi?
Facile cucinare la playlista, dove naturalmente emergono con chiarezza gli ingredienti preferiti dal sottoscritto, anche se ho cercato di raccogliere i tre piatti di cui abbiamo parlato: 1) le composizioni “a valanga”, 2) le atmosfere ipnotiche e sospese, 3) le musiche perfette per un film (i nostri bazzicano da tempo nel genere, fin dai tempi di “Trainspotting”. Forse in realtà non ha più molto senso nel XXI secolo parlare di generi musicali, come avrà capito chi si accomoda ogni domenica tra i miei piatti sonori. Non a caso cucino “di tutto” non perché ascolti “di tutto”, anzi è vero il contrario, ma perché un musicista ai nostri giorni può volgere il suo sguardo liberamente in ogni direzione. L’abilità credo stia sempre di più nell’accogliere molteplici influenze, trovare accostamenti nuovi. CLICCATE QUI per un’antologico viaggio tra le composizioni degli Underworld. Vi lascio con un estratto dal loro ultimo lavoro. Una versione solo vocale di “Denver Luna”. Per me un gioiello prezioso ed emozionante.
Desiderate qualcosa di diverso dai ritmi ipnotici degli Underworld? Il jukebox di Mr Pian Piano con tutti i musicisti e le musiciste del nostro intrigante menù è come ogni domenica a vostra completa disposizione: classica, jazz, pop, rock e ambient sono lì ad aspettarvi. Se volete scoprire in dono altre monografie curate da Mr Pian Piano di decine e decine e decine (e decine) di superbi musicisti vi basta accomodarvi qui:
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Underworld: electronic.
It’s quite interesting how it works, us two, because we’re polar opposites, really. People ask us why we’ve been together so long, and it’s certainly not because we’re all loved up all the time. That’s not to imply that we’re constantly disagreeing, either. We’re just different, you know? But we’ve finally realised, at our tender age, that that’s OK
Rick Smith
Familiarity isn't always a good thing... sometimes you need a little crisis to shake things up.
Karl Hyde
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In the 1990s, when Underworld climbed the charts with their single "Born Slippy," few realized they were encountering musicians who had been active for over a decade.
It all began in the early 1980s with Freur, a band that landed a hit across Europe with a single some of us old-timers might remember: "Doot, Doot." Freur already included members who would soon become Underworld. What defines their artistic identity? A unique fusion of new wave echoes, historic electronic influences nodding to Tangerine Dream, the rhythmic crescendos of NEU!, and, above all, techno—from Detroit onwards. This blend was crafted with a clear purpose: not to produce typical instrumental genre music, but to leave a central role for Karl Hyde’s voice, with its poetic textures and hallucinatory narratives. The result? Alien "songs" of rare power. But let’s start from the beginning, with Freur.
Underworld's strength lies in their ability to recover a tribal sonic dimension, a hallmark of their project. The rhythmic textures that saturate their compositions often build into crescendos, complemented by Hyde's vocals, which either hammer into the listener or cradle them, reinforcing the music they overlay. The resulting compositions are monolithic and impactful, devoid of unnecessary variations, save for elements that emphasize the core ideas. Underworld resembles an avalanche descending a mountain—starting small, gaining momentum, and reaching the valley as an overwhelming force capable of sweeping away everything in its path.
Contrasting these "avalanche" tracks are songs imbued with a melancholic, existential quality. These guide listeners into a particularly poetic realm, immersing them in a sweet hypnosis—a mesmerizing haze of frequencies and chanting vocals, at times structured like prayers or mantras that seem destined to stretch into infinity. Trance and repetition become their method. Over the albums, they’ve also added instrumental compositions with a clear cinematic quality, eclectic and at times tangential to electronic music. Together, these elements create a soundscape perfect for curating a playlist worthy of (((RadioPianPiano))).
Returning to quotes from Rick Smith and Karl Hyde, let’s reflect. Smith eloquently describes the art of coexisting in differences, while Hyde emphasizes how routine and familiarity with others must occasionally be revisited to breathe new life into a relationship. These are challenging skills: maintaining closeness amidst differences and disrupting comfort to rejuvenate a bond that might otherwise wear out through repetition. These ideas are equally relevant in political and social contexts, not just personal and relational ones. After all, what are our societies if not places grappling with the challenge of coexisting in diversity? And what afflicts them if not the need to renew and rebuild themselves?
Curating the playlist was easy. Naturally, my preferred "ingredients" emerge, though I’ve tried to include all three types of tracks we discussed: 1) "avalanche" compositions, 2) hypnotic and suspended atmospheres, and 3) music perfect for films (Underworld has long dabbled in this genre, dating back to Trainspotting). Perhaps in the 21st century, it no longer makes sense to talk about musical genres—as anyone who tunes in to my weekly soundscape selections knows. I cook “a bit of everything,” not because I listen to “everything” (quite the opposite), but because today’s musicians can freely look in any direction. The real skill lies in embracing diverse influences and creating fresh combinations.
CLICK HERE for an anthology of Underworld compositions. I’ll leave you with an excerpt from their latest work—a vocal-only version of "Denver Luna." To me, it’s a precious and moving gem.
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