Quando improvvisi e suoni qualcosa per la prima volta, lo suoni un po' al suo massimo. E se suoni qualcosa e poi pensi 'oh, mi piace questo' e poi lo suoni di nuovo, non lo ottieni mai esattamente. È come il processo di registrare una demo, sai se registri una traccia demo, non importa quanto male cerchi di farla, ci sarà sempre una qualità al suo interno che successivamente cercheresti di ricreare, cosa che non dovresti fare.
Il silenzio è al di sopra di tutto, preferirei sentire una nota piuttosto che due, e preferirei sentire il silenzio piuttosto che sentire una nota.
Mark Hollis
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36 anni fa bighellonavo per casa, una casa che non ho mai sentito mia, tv accesa, solo. A un certo punto inizia una canzone, ero in un’altra stanza preso da altro e pian piano sono andato verso lo schermo come attratto da una calamita. Passava un nuovo singolo “I believe in you” dei Talk Talk e mi son detto, ma chi sono questi? No, è impossibile siano gli stessi di “It’s my life”. Erano proprio loro invece, con una canzone che è una preghiera, un condensato di bellezza intatta ancor oggi perché nella sua intensità emotiva non si lascia consumare dal tempo. Così, ormai alla fine ha inizio l’intensa storia di Mark Hollis e dei Talk Talk, band seminale e indubbiamente madre di un nuovo genere musicale: il post rock.
Tutto inizia a Tottenham, Londra, dove Mark insieme al fratello Ed inizia la sua avventura musicale. Con il nome di "The Reaction" i due, siamo nel 1979, riescono a far pubblicare una loro canzone in una compilation della mitica Beggars Banquet. Hollis però mira più in alto, e comincia a creare quello che poi sarà il progetto Talk Talk. Il lavoro dà dei frutti e la Island offre alla band la possibilità di incidere alcuni demo. Paul Webb al basso e Lee Harris alla batteria completano il gruppo. I Talk Talk diventano un progetto caldo per le major e sarà la EMI a metterli sotto contratto per un album con la produzione di Colin Thurston, che aveva appena fatto centro con il debutto dei Duran Duran. I Talk Talk erano altro però.
Thurston lascia la produzione del primo album dei Talk Talk in corso d'opera e Hollis, Webb e Harris cercano autonomamente una direzione artistica che risponda meglio alle loro ambizioni che evidentemente non si fermavano ad un pop da classifica ben fatto, patinato e rifinito. Chi cerca trova e arriva l'incontro con Tim Friese-Greene, che, pur non rientrando nella line-up ufficiale della band, si può considerare da questo momento in poi il "quarto uomo". Friese-Greene diventa il regista dei Talk Talk: produttore, tastierista e compositore in molti brani e con Hollis mente della svolta spirituale della band.
Il miracolo dei Talk Talk sta nell’essere usciti dallo stereotipo della pop band per inoltrarsi verso l’ignoto, in direzione dell’improvvisazione, di un folk impastato di blues imbarcando sapori jazz in quell’amalgama che sarà il post rock dopo di loro. Ne sono usciti tre album molto belli tra cui due capolavori, che nelle sofferte interpretazioni di Hollis assumono un taglio sempre più esistenziale, per una musica che idealmente insegue il silenzio, sussurra, esplode e poi implode, accenna e scompare, si fa secca e scabra cercando linee melodiche che tra loro si intersecano e confondono e puntualmente quando ci si sta per perdere portano ad un pathos quasi straziante per l’intensità in cui l’ascoltatore viene immerso.
Intensità, pathos, poesia sono le chiavi per accostarsi ad Hollis ed alla sua band, al suo carattere schivo, alla voce “brutta” e nasale, ma così espressiva ed intensa, appunto perché strumento poetico e quindi insostituibile. La frequentazione della poesia non è per tutti, ci si avvicina ad un fuoco e ci si ustiona anche per starle solo vicino. Così dopo “Spirit of Eden” e “Laughing Stock” la storia bella e rara dei Talk Talk si conclude con la coda di un album solista di Hollis il ritiro dalle scene e la sua prematura scomparsa. CLICCATE QUI per scorire una band che ha influenzato molte delle ricerche musicali nei decenni successivi e son stati capaci di costruire un universo sonoro spirituale di rara intensità. Vi lascio come coda “A Life (1895 - 1915) un brano dal disco di Hollis solista che come una poesia di Montale chiede di essere riletta e quando ne comprendi il senso resti travolto. Quando arriva il piano a me manca il fiato.
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Talk Talk: pop, post rock.
When you improvise, and you play something for the first time, you kind of play it at its peak. And if you kind of like play something and then you think ‘oh I like that’ and then you replay it, you never quite get it. It’s like the thing of demoing, y’know if you demo a track, no matter how badly you try to demo it, there will always be a quality within it that you subsequently would try to recreate, which you shouldn’t do.
The silence is above everything, I'd rather hear one note than I would two, and I would rather hear silence than I would hear one note.
Mark Hollis
28 years ago, I wandered around the house, a house I've never felt mine, TV on, alone. At some point, a song started playing; I was in another room occupied with something else, and slowly I moved towards the screen, as if drawn by a magnet. It was playing a new single, "I believe in you" by Talk Talk, and I thought to myself, who are these guys? No, it's impossible they're the same as "It's my life". But it was indeed them, with a song that is a prayer, a condensed form of undiminished beauty even today because its emotional intensity refuses to be consumed by time. And so, as the intense story of Mark Hollis and Talk Talk begins its final chapter, a seminal band undeniably the progenitors of a new musical genre: post-rock.
It all starts in Tottenham, London, where Mark begins his musical journey with his brother Ed. Under the name "The Reaction," the two, in 1979, managed to have one of their songs featured in a compilation by the legendary Beggars Banquet. However, Hollis aimed higher and began creating what would later become the Talk Talk project. Their work bore fruit, and Island Records offered the band the opportunity to record some demos. Paul Webb on bass and Lee Harris on drums completed the group. Talk Talk became a hot project for major labels, and it was EMI who signed them for an album produced by Colin Thurston, who had just scored a hit with Duran Duran's debut. However, Talk Talk was something else entirely.
Thurston leaves the production of Talk Talk's first album in progress, and Hollis, Webb, and Harris independently seek an artistic direction that better reflects their ambitions, which evidently did not stop at well-crafted, glossy, chart-topping pop. Seeking, they find an encounter with Tim Friese-Greene, who, although not officially part of the band's lineup, can be considered from this moment onwards as the "fourth man." Friese-Greene becomes Talk Talk's director: producer, keyboardist, and composer on many tracks, and with Hollis, the mind behind the band's spiritual turn.
The miracle of Talk Talk lies in breaking away from the stereotype of a pop band and venturing into the unknown, towards improvisation, towards a folk infused with blues, incorporating jazz flavors into that amalgam that would become post-rock after them. They released three very beautiful albums, including two masterpieces, which, in Hollis's anguished interpretations, take on an increasingly existential tone, for a music that ideally pursues silence, whispers, explodes and then implodes, hints and disappears, seeking melodic lines that intersect and confuse each other and inevitably lead to an almost heartbreaking pathos for the intensity in which the listener is immersed.
Intensity, pathos, poetry are the keys to approaching Hollis and his band, to his shy character, to his "ugly" and nasal voice, yet so expressive and intense, precisely because it is a poetic instrument and therefore irreplaceable. The pursuit of poetry is not for everyone; approaching it is like approaching a fire, one risks getting burned just by being close to it. And so, after "Spirit of Eden" and "Laughing Stock," the beautiful and rare story of Talk Talk concludes with a solo album by Hollis, his withdrawal from the scene, and his premature passing. Click here to explore a band that influenced many musical pursuits in the subsequent decades and was able to construct a spiritual sonic universe of rare intensity. As a closing note, I leave you with "A Life (1895 - 1915)," a track from Hollis's solo album that, like a poem by Montale, demands to be reread, and once you grasp its meaning, you remain overwhelmed. When the piano arrives, I find myself breathless.
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I find 'Sprit of Eden' absolutely phenomenal. It's a masterful blend of ambient vibes, with a strong inspiration from jazz and classical music. This album is a prime example of the wonders that pure creativity can achieve, especially when it's not shackled by budget constraints or the need to conform to commercial expectations.
Thanks for such a thoughtful post.
entro qui, potrebbe essere ovunque
ti hanno già suggerito The Blue Nile, per un tuo intervento?
(o me li sono persi???)