C'è una casa, una casa per me? Dove le persone rimangono fino all'eternità? C'è una strada che si snoda, sotto il grande albero verde? C'è una casa, una casa per me?
Stan Ridgway
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C’è nella musica americana da decenni la poetica della provincia, di strade polverose, spazi abbandonati, aperture d’orizzonte enormi, deserti, distributori di benzina persi nel vuoto, piccole città nel nulla, working class esclusa dall’American dream. Bruce Springsteen l’ha cantata in Nebraska, ma prima Woody Guthrie e altri. Vite anonime, scottate da lavoro duro pagato poco, in orizzonti esistenziali dimenticati dalle riviste patinate e dall’immagine cinematografica di divi e femme fatale con corpi perfetti e labbra invitanti. Lì in quella polvere, lungo il confine messicano, salendo poi la California fino a Los Angeles, abita poeticamente il nostro musicista di oggi: Stanard Ridgway e quelle le strade le percorre in solitudine e ci racconta il quasi niente della quotidianità, facendone una sceneggiatura per i nostri occhi.
Dunque chi è il nostro uomo? Sfonda l’anonimato con una mitica band i Wall of Voodoo di cui consiglio caldamente il loro disco “Call of the West” e poi inizia un’interessante carriera solista dove esplora l’America profonda. Nato nel deserto californiano, a Barstow, dopo essersi trasferito nella più caotica e vitale Los Angeles, Ridgway sviluppa una grande passione per la musica folk, le radici americane appunto. I genitori non a caso gli regaleranno un banjo e Johnny Cash diventa l’idolo di Stan quando è un ragazzino. Tracce profonde resteranno sul suo metodo compositivo, anche se non va sottovalutata l’influenza di Peter Gabriel (ne abbaiamo parlato QUI) e di Kurt Weill. Un frullato di generi musicali differenti, con anche una spruzzata di atmosfere cinematografiche e Morricone in particolare. Insieme al batterista dei Police Stewart Copeland incide negli anni 80 questa “Don’t Box me in” che con la sua armonica acquista un sapore particolare ed impreziosisce la soundtrack del film di Francis Ford Coppola “Rumble Fish”.
Ridgway per me è stato un ottimo ponte per scavare a ritroso e scoprire Johnny Cash, Neil Young e naturalmente il dinamitardo Tom Waits, quando Waits sempbrava destinato ad annegare nel bourbon decine e decine di anni fa. Negli anni 80 al Liceo ascoltavo Ridgway intonare la sua classica “Drive she said” e fantasticavo guardando film noir, divorando i libri di Raymond Chandler ed i quadri sospesi di Hopper.
Sono passati quarant’anni e Ridgway non è diventato una stella intergalattica, ma uno stimato e seguito autore con un pubblico di afficionados, ma va bene così, la poesia non si mostra alla televisione e non tutta la bellezza splende di una luce abbagliante. Come i personaggi delle sue canzoni i suoi album hanno da offrire sempre quel sapore di un’America notturna, marginale, dimenticata e donarci fotografie sonore affascinanti e mai banali, micro film di preziosa bellezza. Non a caso il nostro lavora anche oggi a colonne sonore e si diletta anche con la macchina da presa.
Ecco come ogni domenica a vostra disposizione la playlista di questa settimana cucinata a Los Angeles seguendo una ricetta della cucina messicana. Cliccate qui per gustarvi un’altra faccia dell’America, diversa dalle ribalte e dai brillantini, dagli stadi stracolmi, dal caos televisivo e dal rock plastificato per le masse. Stan è ancora la voce che trovi in un locale di periferia e che non ti aspetti.
Desiderate qualcosa di diverso dall’America profonda di Stan Ridgway? Il jukebox di Mr Pian Piano con tutti i musicisti e le musiciste del nostro intrigante menù è come ogni domenica a vostra completa disposizione: classica, jazz, pop, rock e ambient sono lì ad aspettarvi. Se volete scoprire in dono altre monografie curate da Mr Pian Piano di decine e decine e decine (e decine) di superbi musicisti vi basta accomodarvi qui:
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Stan Ridgway: rock, folk.
Is there a home, a home for me? Where the people stay until eternity? Is there a road that winds up, underneath the big green tree? Is there a home, a home for me?
Stan Ridgway
For decades, American music has embraced the poetics of the province, dusty roads, abandoned spaces, vast horizons, deserts, gas stations lost in emptiness, small towns in the middle of nowhere, the working class excluded from the American dream. Bruce Springsteen sang about it in Nebraska, but before him, Woody Guthrie and others. Anonymous lives, scorched by hard work poorly paid, in existential horizons forgotten by glossy magazines and the cinematic image of stars and femme fatales with perfect bodies and inviting lips. There, in that dust, along the Mexican border, then up to California and Los Angeles, our musician of today poetically dwells: Stanard Ridgway, and he travels those roads alone, telling us about the almost nothing of everyday life, turning it into a script for our eyes.
So, who is our man? He breaks anonymity with a legendary band, Wall of Voodoo, of which I highly recommend their album "Call of the West," and then begins an interesting solo career where he explores deep America. Born in the Californian desert, in Barstow, after moving to the more chaotic and vital Los Angeles, Ridgway develops a great passion for folk music, American roots precisely. His parents will give him a banjo, and Johnny Cash becomes Stan's idol when he's a boy. Deep traces will remain on his compositional method, although we shouldn't underestimate the influence of Peter Gabriel and Kurt Weill. A blend of different musical genres, with even a sprinkle of cinematic atmospheres and Ennio Morricone in particular. Together with Police drummer Stewart Copeland, he recorded in the '80s this "Don't Box Me In," which, with its harmonica, acquires a special flavor and enriches the soundtrack of Francis Ford Coppola's film "Rumble Fish."
Ridgway was an excellent bridge for me to dig back and discover Johnny Cash, Neil Young, and, of course, the dynamite Tom Waits when Waits seemed destined to drown in bourbon decades ago. In the '80s, in high school, I listened to Ridgway singing his classic "Drive She Said," and I daydreamed while watching film noir, devouring Raymond Chandler's books, and staring at Hopper's suspended paintings.
Forty years have passed, and Ridgway hasn't become a galactic star, but a respected and followed author with a fan base, but that's okay. Poetry doesn't appear on television, and not all beauty shines in dazzling light. Like the characters in his songs, his albums always offer that taste of a nocturnal, marginal, forgotten America and give us fascinating and never banal sound photographs, micro-films of precious beauty. Not surprisingly, he still works on soundtracks today and also enjoys being behind the camera.
So, every Sunday, at your disposal, is this week's playlist cooked up in Los Angeles following a Mexican cuisine recipe. CLICK HERE to savor another face of America, different from the spotlights and glitter, from the packed stadiums, from the TV chaos, and from the mass-produced rock. Stan is still the voice you find in a suburban venue, the one you don't expect.
Do you desire something different from Stan Ridgway's deep America? Mr. Pian Piano's jukebox with all the musicians on our intriguing menu, as every Sunday, is at your complete disposal: classical, jazz, pop, rock, and ambient are there waiting for you. If you want to discover other monographs curated by Mr. Pian Piano of dozens and dozens (and dozens) of superb musicians, just settle in here: CLICK HERE, and the archive of monographs of great musicians in alphabetical order will magically open for you.
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