Bill Evans era eccezionale nel trovare bellissimi standard e trasformarli in standard jazz. Stavo imparando da solo come fare lo stesso grazie al fatto di averlo ascoltato. E il modo in cui sono scritti originariamente, voglio dire, l’arte di scrivere queste canzoni che, anche senza testo, raccontano una storia in modo musicale. Per questo voglio sempre includerne alcune, perché sono scritte così bene, aggiungendo poi il mio tocco personale.
Ho finito il college e non avevo nulla che mi trattenesse. Non avevo genitori che mi dicevano: "Oh, vai a trovare un lavoro vero" o qualcosa del genere. Avevo dedicato molto tempo a ottenere il diploma come compositore classico e, parallelamente, a sviluppare il mio pianoforte jazz. Ho chiesto in giro: "Dove si trova un grande insegnante di chitarra?" E uno dei professori ha detto: "Oh, Karl Scheit a Vienna è un grande insegnante," e io ho detto: "Beh, dov’è Vienna?"
Ralph Towner
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Dopo due settimane di pop, in attesa di una neve che comunque sarà freddo ed inverno torno su un jazz introspettivo ed atipico, come solo ECM ha saputo creare. Musica per pensare o semplicemente per restare immobili davanti al camino incantati dal fuoco. A questo si aggiunga che sono registrazioni curate divinamente e se avete un buon impianto le godrete come raramente accade. Parliamo però del nostro artista di oggi, ovvero di Ralph Towner. Multistrumentista, capace di imbracciare una tromba e sedersi al pianoforte, incontra la chitarra e se ne innmora follemente. Americano raccoglie nel suo modus compositivo influenze diverse coniugandole con insolito rigore, mai a discapito della poesia.
Towner unisce folk e jazz ed un’attitudine a reinterpretare, arricchire e rendere contemporanea la lezione di Bill Evans, il grande pianista, muovendosi in una dimensione introspettiva, una poesia della contemplazione, una musica che diventa in fretta paesaggio sonoro, allaga le stanze con discrezione si circonda di silenzio, non ha bisogno di parole. Si sente, ascoltando Towner l’insolito matrimonio tra eccellenza tecnica, attenzione per il suono dello strumento e per le timbriche senza perdersi nel compiacimento, nell’effluvio di note, ma cercando sempre un’essenza. Essendo una ricerca a suo modo eterna, ne esce una discografia ricca, dove personalmente preferisco il Towner solista o in collaborazione con pochi musicisti, al membro di un gruppo tuttavia molto interessante come gli Oregon. Forse perché una dimensione più intima ne esalta le doti introspettive?
Ne esce una musica molto peculiare, che sta tra il jazz e la classica, correndo sul filo del folk. Godo dell’eccletismo ed è bellissimo vedere questo approccio sposarsi con una tormentata chitarra elettrica come quella di Abercrombie o con la bella tromba di Paolo Fresu, sempre abile nel fraseggio e attento a non suonare “troppo” o in coppia con il vibrafonista Gary Burton. Una musica non invasiva, ma mai di sottofondo, una compagnia, ricca ma silenziosa se vogliamo giocare con gli ossimori. Towner è a mio modesto vedere uno dei migliori. Amo troppo la musica per non eccitarmi con qualsiasi suono e quindi mi è impossibile costruire classifiche, ma Ralph Towner è tra le eccellenze, per la sua capacità di aver costruito un proprio stile ed averlo elevato a “classico” nell’arco di un’esistenza. Razionalità, armonia e al contempo bellezza.
Ecco tornando a domenica scorsa raccomando qui a tutti di ascoltare i dischi completi del grande chitarrista americano, esplorare opere complete, cercare il filo di un discorso in un album, magari non trovandolo e cercando di nuovo in successivi ascolti, come alla ricerca di un’uscita da un labirinto. Scrivere della musica di Towner ascoltandola, come faccio sempre con ogni autore, cercando una connessione spontanea tra parole e musica, dà proprio questa sensazione di perdersi in un meraviglioso labirinto, rapiti e al contempo storditi. Non è una sensazione che possiamo traslare anche al nostro esserci, ad una dimensione esistenziale? È una musica che invita alla bellezza, ma il suo pregio profondo sta nel suo farlo in maniera induttiva e non descrittiva o retorica. Non è poco.
Dunque qui una playlista in cui ho largheggiato, rispetto agli ultimi tempi, forse nell’incapacità di fare essenza: troppa bellezza e così prendi qui e prendi là e si arriva a quasi due ore. Accomodatevi con una tisana o un whiskey, come preferite e datevi il tempo, lasciatevi cadere, lasciatevi rapire dagli armonici, come in una sorta di ipnosi, in una visione che non ha bisogno di vista o di luce. CLICCATE QUI per immergervi tra le note di Towner per me una sorta di sogno, un ritorno in sè, ma ritrovandosi sconosciuti invece che ritrovarsi su una strada familiare. Buon viaggio.
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Ralph Towner: jazz.
Bill Evans was great at finding beautiful standards and making them into jazz standards. I was teaching myself how to do that as a result of hearing him. And the way they’re originally written, I mean, the art of writing these songs that, even without lyrics, tell the story in a musical way. And so I always want to include some of those because they’re written so well, and then put my own touches on them.
I finished college and I had nothing holding me back. I didn’t have parents who said, ‘Oh, go get a real job,’ or something like that. I’d put a lot of time into getting my diploma as a classical composer and, on the side, developing jazz piano. I asked around, ‘Where’s a great guitar teacher?’ And one of the professors said, ‘Oh, Karl Scheit in Vienna is a great teacher,’ and I almost said, ‘Well, where’s Vienna?
Ralph Towner
After two weeks of pop music and waiting for snow that will inevitably mean cold and winter, I return to introspective and atypical jazz, the kind that only ECM has managed to create. Music for reflection or simply for sitting still in front of the fireplace, enchanted by the fire. Add to this the fact that these are divinely crafted recordings, and if you have a good sound system, you’ll enjoy them in a way that rarely happens. But let’s talk about today’s featured artist: Ralph Towner. A multi-instrumentalist capable of picking up a trumpet or sitting at the piano, he encountered the guitar and fell madly in love with it. An American, his compositional approach gathers diverse influences, blending them with an unusual rigor that never sacrifices poetry.
Towner merges folk and jazz with a knack for reinterpreting, enriching, and making contemporary the lessons of Bill Evans, the great pianist. He moves within an introspective dimension, creating a contemplative poetry—a music that quickly becomes a soundscape, flooding rooms with discretion, surrounded by silence, needing no words. When listening to Towner, one perceives the unique marriage of technical excellence, attention to the instrument’s sound and timbres, without indulging in self-congratulation or an excess of notes, but always seeking essence. Since this search is, in its way, eternal, his discography is rich. Personally, I prefer Towner as a soloist or collaborating with a few musicians, rather than as a member of a group—even if the group he’s part of, Oregon, is very interesting. Perhaps a more intimate setting enhances his introspective qualities?
The result is a very peculiar music that lies between jazz and classical, running along the edge of folk. I delight in eclecticism, and it’s wonderful to see this approach paired with a tormented electric guitar like that of Abercrombie or the beautiful trumpet of Paolo Fresu, always adept at phrasing and careful not to overplay, or in duo with vibraphonist Gary Burton. It’s a music that is unobtrusive yet never background, a companion—rich but silent, if we want to play with oxymorons. In my humble opinion, Towner is one of the greatest. I love music too much not to get excited by every sound, so it’s impossible for me to create rankings, but Ralph Towner is among the best for his ability to craft a unique style and elevate it to a “classic” over a lifetime. Rationality, harmony, and simultaneously, beauty.
Returning to last Sunday, I recommend everyone listen to the full albums of this great American guitarist. Explore his complete works, search for the thread of a narrative in an album—perhaps not finding it and searching again in subsequent listens, as though seeking a way out of a labyrinth. Writing about Towner’s music while listening to it, as I always do with every artist, seeking a spontaneous connection between words and music, gives exactly this feeling of getting lost in a marvelous maze, captivated and yet dazed. Isn’t this a sensation we can translate into our existence, into an existential dimension? It’s music that invites beauty, but its profound merit lies in doing so inductively, not descriptively or rhetorically. That’s no small thing.
So here is a playlist where I’ve been generous, compared to recent times—perhaps unable to distill it all into an essence. Too much beauty, so I’ve picked here and there, and it amounts to almost two hours. Settle down with a tea or a whiskey, as you prefer, and take your time. Let yourself fall into it, be captured by the harmonics, like in a sort of hypnosis, a vision that needs neither sight nor light. CLICK HERE to immerse yourself in Towner’s notes—a kind of dream, a return to oneself but finding oneself unfamiliar rather than on a well-trodden path. Enjoy the journey.
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