So qual è il potere del silenzio. Quando suonavo nei club, tutti erano rumorosi, c'era molto rumore. Allora toglievo il microfono e suonavo qualcosa di così dolce che quasi non si sentiva... e si parla di ascolto. Roy Eldridge lo faceva. È uno dei miei preferiti.
Miles Davis
Miles ha detto di considerare il suo bisogno di continui cambiamenti come una maledizione. Tuttavia, Miles, insieme a Duke Ellington, in termini di ricerca di modelli di strategia con una band, sono stati costantemente sullo sfondo per me. Non i Beatles come costruzione di un gruppo, non i Led Zeppelin, non i Floyd. Le mie guide sono sempre state Miles e Duke.
Robert Fripp
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Mr Pian Piano perché? Forse la cosa ha a che fare con Miles? Nel 1969 Miles Davis licenzia “In a silent way” e ci racconta in due lunghi brani un approccio dove il jazz non è più terra di solisti e improvvisazioni su un tema, ma diventa un magma sonoro, una musica sussurrata, uno scorrere di note che chiede appunto il silenzio di chi ascolta, come in presenza di un evento sacro o se preferite poetico in cui la parola è cosa superflua, accidente, disturbo. La chitarra liquida di John Mc Laughling ci guida tra atmosfere oniriche e dilatate. Il passo successivo “Bitches Brew” diventa l’ingresso definitivo di Miles in una dimensione elettrica che a molti suona aliena, dissonante, fuori dal linguaggio jazz. “Bitches Brew” spoglio di melodie, astratto, fatto di lunghissimi pezzi improvvisati con suoni alieni per l’epoca e lontani da quello che ci si poteva aspettare diventa misteriosamente un successo commerciale ed una cesura nella storia del grande trombettista.
Miles elettrico è un Miles radicale che lentamente, ma inesorabilmente, abbandona ogni legame con le modalità compositive ed improvvisative del jazz classico, guarda a Stockhausen e alla musica contemporanea più che al jazz ed in solitudine si incammina in territori sconosciuti, dissonanti, con inserti etnici e riferimenti alla musica Africana ed Indiana: la world music prima della world music. Si circonda di giovani musicisti sconosciuti, Keith Jarrett, Chick Corea, Dave Holland, Jack De Johnette per citarne solo alcuni e con loro imbastisce lunghe session d’improvvisazione, eruzioni sonore, dove il magma di diversi strumenti crea atmosfere sature di strumenti od improvvisamente rarefatte o quasi ambient.
Più il suo discorso si radicalizza meno viene compreso. I successi di “Bitches Brew” evaporano ed a parte gli esperimenti funk di “On the corner” Davis si spinge fino a derive sonore incomprensibili dai suoi contemporanei, ma oggi riferimento di molti musicisti o come nel caso di Fripp di figure basilari nella storia del rock moderno. Miles costruisce testardamente il futuro e infatti in “Bitches Brew” ha tra i suoi Zawinul e Shorter poi pionieri della fusion con i Weather Report. Sono anni in cui Davis sprofonda nelle dipendenze e mastica amarezza sempre più incompreso, ma deciso a spingersi oltre ogni limite ed a rompere qualsiasi barriera. Dedicherà a Duke Ellington il lungo brano “He loved him madly” per ricevere un pesante giudizio sarcastico dallo stesso Ellington e restarne ferito. Nella seconda metà degli anni 70 Miles sparisce nel nulla e viene considerato da molti un artista finito.
Il nostro vate ricompare negli anni 80 con “The man with the horn” e diventa, album dopo album, evidente che l’epoca del Miles oltranzista si è chiusa ed il nostro guarda al rock prima, con la roboante chitarra di Mike Stern ed al pop poi con album come Tutu. Il Miles degli anni 80, fino alla mesta chiusura con il bruttino “Doo-bop” non è più la figura del Titano creativo che dalla fine degli anni 60 a metà dei 70 ha incendiato i nostri timpani. Attenzione però che anche qui ci sono chicche da non perdere, come alcuni brani dall’album “Decoy” o da “Star People” e “Tutu”: i leoni anche se un po’ spelacchiati sanno ancora ruggire e mordere.
Adoro il Miles Davis elettrico, la sua furia sperimentale e la rottura di ogni confort zone per spingersi oltre e imbastardire e sporcare le convenzioni ed i linguaggi, anche a costo di cadute rovinose o incomprensioni brucianti e sofferenze personali. Cos’è un titano se non questo? La traccia di Miles nella musica contemporanea è infatti indelebile e va ben oltre il jazz. Mr Pian Piano vi propone quindi un pasto a base di cuffie decenti, non di auricolari, per un viaggio cosmico oltre lo spazio ed il tempo, perché i titani nelle loro gesta sono eterni. Non saranno ascolti sempre facili ed immediati, ma CLICCATE QUI per scoprire il Miles Davis elettrico e comprenderne la grandezza e l’enorme influenza nella musica contemporanea.
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Miles Davis: jazz, fusion, other (part two).
I know what the power of silence is. When I used to play in clubs, everybody was loud; there was a lot of noise. So I would take my mute off the microphone, and I would play something so soft that you could hardly hear it… and you talk about listening. Roy Eldridge did that. He’s one of my favorites.
Miles Davis
Miles said he looked on his need for constant change as a curse. However, Miles, along with Duke Ellington, in terms of looking for models of how you strategize with a band, have been there constantly in the background for me. Not the Beatles as a construct for a group, not Led Zeppelin, not the Floyd. My guides have always been Miles and Duke.
Robert Fripp
Mr Pian Piano why? Maybe it has something to do with Miles? In 1969 Miles Davis dismisses "In a silent way" and tells us in two long tracks an approach where jazz is no longer the land of soloists and improvisations on a theme, but becomes a sonic magma, a whispered music, a flow of notes that asks precisely for the silence of the listener, as if in the presence of a sacred or if you prefer poetic event in which the word is a superfluous thing, an accident, a disturbance. John Mc Laughling's liquid guitar guides us through dreamy, dilated atmospheres. The next step "Bitches Brew" becomes Miles' definitive entry into an electric dimension that to many sounds alien, dissonant, outside the jazz language. "Bitches Brew" stripped of melodies, abstract, made up of very long improvised pieces with sounds alien for the time and far from what might have been expected mysteriously becomes a commercial success and a caesura in the history of the great trumpeter.
Electric Miles is a radical Miles who slowly but surely abandons all ties to the compositional and improvisational modes of classical jazz, looks to Stockhausen and contemporary music rather than jazz and in solitude sets out into unknown, dissonant territories with ethnic inserts and references to African and Indian music: world music before world music. He surrounds himself with young, unknown musicians, Keith Jarrett, Chick Corea, Dave Holland, Jack De Johnette to name but a few and with them he sets up long improvisation sessions, sound eruptions, where the magma of different instruments creates atmospheres saturated with instruments or suddenly rarefied or almost ambient.
The more his discourse becomes radicalized the less it is understood. The hits of "Bitches Brew" evaporate and apart from the funk experiments of "On the Corner" Davis goes as far as sonic drifts incomprehensible to his contemporaries, but today a reference of many musicians or as in the case of Fripp of basic figures in modern rock history. Miles stubbornly builds the future and in fact in "Bitches Brew" has among his own Zawinul and Shorter later pioneers of fusion with Weather Report. These are years when Davis sinks into addictions and chews bitterness increasingly misunderstood, but determined to push himself beyond all limits and break any barriers. He would dedicate the long song "He Loved Him Madly" to Duke Ellington only to receive heavy sarcastic judgment from Ellington himself and be hurt by it. In the second half of the 1970s Miles disappears into thin air and is considered by many to be a finished artist.
Our vate reappears in the 1980s with "The man with the horn," and it becomes, album after album, evident that the era of the Miles extremist has come to an end and ours looks to rock first with Mike Stern's bombastic guitar and then to pop with albums like Tutu. The Miles of the 1980s, until the sad close with the ugly "Doo-bop," is no longer the creative Titan figure who set our eardrums on fire from the late 1960s to the mid-1970s. Beware, however, that even here there are goodies not to be missed, such as some tracks from the album "Decoy" or from "Star People" and "Tutu": the lions even if a bit bared still know how to roar and bite.
I love the electric Miles Davis, his experimental fury and breaking out of all comfort zones to push beyond and bastardize and dirty conventions and languages, even at the cost of ruinous falls or searing misunderstandings and personal suffering. What is a titan if not this? Miles' mark on contemporary music is indeed indelible and goes far beyond jazz. Mr. Pian Piano therefore offers you a meal of decent headphones, not earbuds, for a cosmic journey beyond space and time, for titans in their exploits are eternal. It will not always be easy and immediate listening, but CLICK HERE to discover the electric Miles Davis and understand his greatness and enormous influence in contemporary music.
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