“La progressione nell'opera di un pittore, mentre viaggia nel tempo da un punto all'altro, sarà verso la chiarezza: verso l'eliminazione di tutti gli ostacoli tra il pittore e l'idea, e tra l'idea e l'osservatore. Come esempi di tali ostacoli, cito (tra gli altri) la memoria, la storia o la geometria, che sono paludi di generalizzazione da cui si possono tirare fuori parodie di idee (che sono fantasmi) ma mai un'idea in sé. Raggiungere questa chiarezza significa, inevitabilmente, essere compresi.”. (1)
“Il silenzio è così preciso.”. (2)
Mark Rothko
L’opera di Mark Rothko si arrampica, come Sisifo, verso un sublime che sfugge in una contemporaneità che da oltre un secolo vive una crisi del Sacro, l’ignoranza di ogni rituale, la perdita della memoria e la dispersione dei simboli. Rothko cerca l’estremo di un infinito a cui si approssima attraverso la pittura, mentre la vita lo rimanda a continue cadute, all’impossibilità di stare nell’infinito, dunque il suo agire artistico è destinato al fallimento, secondo una logica umana. Nelle sue opere mature non accade nulla, non compare nulla ed a parte l’esperienza stratificata del colore nella sua purezza non è concesso altro all’osservatore. Grandi tele, che l’artista raccomandava di osservare a distanza ravvicinata portano ad una fruizione che rimanda all’esserci heideggeriano, in uno svuotamento del dato esperienziale descrittivo, in un niente narrativo, in un’esperienza che è aliena a quello che percepiamo soggettivamente come realtà. Se preferite, dedicarsi con determinazione a Rothko significa meditare, là dove anche il meditare non è mai perdersi nei rivoli tempestosi del pensiero e delle emozioni, in una corrente di fatti, eventi, memorie, desideri, pulsioni, ma è semmai l’osservazione degli stessi senza immedesimazione, operazione che porta ad un’evaporazione del contingente, in un’esperienza diretta di contatto con la coscienza mai racchiusa in un ambito percettivo o dimensionabile.
Mark Rothko, No.6 (Yellow, White, Blue over Yellow on Gray), 1954. Olio su tela, 2,4 x 1,5 m. Collection Gisela e Dennis Alter.
Mark Rothko, Light red over black, 1957. Olio su tela, 2,3 x 1,5 m. London, Tate Modern.
Esistono dei colori dall’apparenza spettrale cosìddetti perché localizzati a distanze indefinibili. Nella pittura di Mark Rothko questi colori si manifestano, occupando progressivamente l’intero campo visivo, secondo una svolta stilistica di Rothko, avvenuta dopo un periodo d’inattività. Per un anno intero l’artista americano smise di dipingere dedicandosi solo alla scrittura. Questo periodo di inattività sembra aver influito sulla svolta che lo porterà ad elaborare lo stile per cui oggi è conosciuto.
Le leggi dell’ottica ci dicono che distinguiamo i diversi colori a seconda della loro lunghezza d’onda a cui corrisponde una determinata frequenza. Per esempio nel blu la lunghezza d’onda è tra i 465 e i 482 nm, nel rosso se la frequenza si situa tra i 620 e i 680 nm. Il passaggio da una tonalità all’altra corrisponde ad una variazione della lunghezza d’onda della luce, che è rapida nella regione centrale dello spettro visivo e lenta ai suoi lati. In queste regioni dello spettro visivo lontane dalla regione centrale, la tonalità del colore muta gradualmente mentre diminuisce rapidamente la sua luminosità o brillanza, proprio come i colori cupi e indefinibili dei 14 dipinti della Rothko Chapel. Scrutando dentro se stesso attraverso la scrittura, Rothko scopre un legame tra la sua riflessione sulla morte e la lega all’esperienza del colore. Resta nelle opere degli anni 50 e dei primi anni 60 l’esperienza cromatica, ma non a caso fino ad un annullamento graduale della profondità nel passaggio dai colori ad olio all’acrilico con tutti gli ultimi lavori e le tele esposte postume nella Rothko Chapel. Sono tele scure, di un colore indefinibile, violaceo, impenetrabili opache ad uno sguardo che cerchi percettivamente appigli ed aperte in direzione contraria al vagare dello sguardo nel mondo e create per offrire una superficie in cui l’occhio cade in uno sguardo interiore, dove l’unico discorso è un colloquio della coscienza con la coscienza stessa. La monumentalità di quella che è a tutti gli effetti anche un’insallazione, con tele enormi accostate tra loro, crea appunto un’esperienza immersiva, cifra stilistica del grande artista americano. La sua è sempre una pittura in cui “siamo trascinati” dentro, in cui lo sforzo è di rompere il dualismo tra osservatore e spazio e in cui si dà l’opera, per creare un tutt’uno e annullare ogni distanza tra sguardo e superficie pittorica.
Mark Rothko, The Rothko Chapel, 1965-66. Houston, Texas (Usa).
Il suo rifiuto di definirsi astrattista ha come motore proprio questo obiettivo di indagare l’animo umano e non di creare un alfabeto pittorico alternativo alla realtà, com’era nelle intenzioni di Kandinskij per esempio. Su questo punto l’approccio alla pittura di Rothko è chiaro e radicalmente diverso: “Non sono un astrattista... Non mi interessa il rapporto tra colore e forma o altro... Mi interessa solo esprimere le emozioni umane fondamentali - tragedia, estasi, e così via. E il fatto che molte persone si commuovano e piangano di fronte ai miei quadri dimostra che riesco a comunicare quelle emozioni umane fondamentali... Le persone che piangono davanti ai miei quadri stanno vivendo la stessa esperienza religiosa che ho avuto io quando li ho dipinti. E se sei mosso solo dalla relazione dei colori, allora ti sfugge il punto.”(3). Il suo è un lavoro in cui lo sguardo si apre e si chiude in sé, le tele dicono questo spingendo chi osserva ad un percorso preciso: “ Forse avete notato che nei miei quadri esistono due caratteristiche: o le loro superfici sono espansive e si spingono verso l'esterno in tutte le direzioni, oppure le loro superfici si contraggono e precipitano verso l'interno da tutte le direzioni. Tra questi due poli potete trovare tutto ciò che voglio dire.”. (4)
Lo sguardo umano cerca affannosamente senso e trova riposo nel nominare le forme, nel dare loro identità. Nelle foschie di colore di Rothko, quando dipingeva ad olio o nei muri compatti negli ultimi anni con l’acrilico si svolge una parabola che dall’oggetto, dal mondo, dalla spinta verso l’esterno torna all’interiorità, alla solitudine del soggetto. Quindi il suo discorso è profondamente e radicalmente esistenzialista.
Morton Feldman
Esiste un legame tra l’opera di Rothko e la musica? Quali suoni sono esteticamente più vicini a questo sforzo titanico di spingersi oltre il visibile, oltre la percezione in un dialogo di sé con sé? Ci aiuta in questo l’amicizia tra Mark Rothko e Morton Feldman, che non è solo frequentazione umana, ma indubbiamente comunanza poetica, sfociata non a caso nei 26 minuti di musica che vi proponiamo oggi, dedicati da Feldman proprio alla Rothko Caphel e con cui il compositore tenta di entrare in un intimo, sospeso, irrisolto ed infinito dialogo. Morton Feldman ha sicuramente concepito la musica come metafora della pittura e sostiene che la musica può imparare dalla pittura, “dal suo temperamento più percettivo, che aspetta ed osserva il mistero insito nei suoi materiali”. Per Feldman è essenziale l’incontro con John Cage, dal quale apprende l’importanza del silenzio come elemento compositivo, silenzio prezioso anche per Rothko. Chiara direi la simbiosi poetica tra i due amici, il pittore ed il compositore, la spinta alla ricerca di un’essenzialità nella musica che contempla da una parte la sospensione ed allude al silenzio sonoro e dall’altra il cammino verso l’assenza di forme prima e anche dei colori poi.
Mark Rothko, n°10, 1950
Siamo di fronte ad uno degli ultimi tentativi di guardare a quell’idea di sublime e sacro, ormai inesorabilmente “senza Dio”, tra le più profonde e coerenti, sia nel campo della musica che della pittura, con una grande influenza sulle generazioni a venire. In campo musicale le composizioni di Feldman sono un prologo colto, come accade anche per Cage, a tutta la musica ambient che si cala sia in un minimalismo sonoro ed anche spesso in una dimensione introspettiva che aspira a depurare l’esperienza dell’ascolto da una saturazione percettiva e fa del silenzio uno degli strumenti principali nel suo divenire. Sul piano della pittura Rothko apre un cammino impervio “verso la notte” che è interpretazione della dimensione simbolica del colore, slancio oltre l’umano, non estraneo a predecessori come Vincent Van Gogh e ad artisti venuti dopo di lui.
CLICCATE QUI per ascoltare la composizione di Morton Feldman dedicata alla Rothko Chapel.
Bibliography
Mark Rothko “The Artist’s Reality: Philosophies of Art” (2004)
Mark Rothko “Writings on Art” (2006)
James E. B. Breslin “Mark Rothko: A Biography” (1993)
Achim Borchardt-Hume “Rothko: The Late Series” (2008)
Christopher Rothko “Mark Rothko: From the Inside Out” (2015)
Notes
(1) from James E. B. Breslin “Mark Rothko: A Biography” (1993)
(2) from James E. B. Breslin “Mark Rothko: A Biography” (1993)
(3) Conversations with Artists, Selden Rodman, New York Devin-Adair (1957). p. 93.; reprinted as 'Notes from a conversation with Selden Rodman, 1956', in Writings on Art: Mark Rothko (2006) ed. Miguel López-Remiro
(4) from Mark Rothko “Writings on Art” (2006)