King Crimson: rock, progressive, other.
Comportatevi con cortesia - Altrimenti, siate educati, ma sempre gentili.
Robert Fripp
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Sapete che il nostro approccio qui è di chiacchiera, soggettivo, presuntuosamente personale e mai enciclopedico, un semplice convivio musicale accompagnato da un calice di vino. Sui King Crimson, band che ha alle spalle oltre mezzo secolo di storia, sono stati versati opportunamente fiumi d’inchiostro e non spetta a noi fare un’ulteriore esegesi.
Cosa distingue i King Crimson dal resto della carovana progressive? La capacità di Robert Fripp, deus ex machina del progetto, e degli ottimi musicisti che lo hanno accompagnato nel corso delle diverse incarnazioni della band, di ascoltare ed ascoltarsi.
Mentre molto progressive si è perso in un gioco solipsistico, fantastico e autoreferenziale, trascurando ogni dialogo con la complessità dei decenni che trascorrevano inesorabili, l’attenzione dei King Crimson, l’apertura all’ignoto, l’attenzione per il “qui e ora” è sempre stata ben evidente.
Ho visto Fripp da solo varie volte ed i King Crimson dal vivo, cosa si nota? Sono attenti, dialogano tra loro. Così quando Fripp esce da un ritiro spirituale che lo ha isolato dallo showbiz nel 1977 è perfettamente pronto spiritualmente per Berlino, per sintonizzarsi con Eno, Bowie e la chitarra assoluta e indimenticabile di “Heroes”. Quando prima il punk e la new wave poi faranno pulizia dei labirinti fiabeschi e degli assoli eterni e futili, i King Crimson ci saranno, pronti a recepire nuovi linguaggi e a nuove metamorfosi. Non è poco.
Ci sono state in mezzo secolo formazioni diverse e suoni lontani, ma la filosofia è rimasta la stessa, soprattutto la capacità di cercare indefessamente strade nuove capaci di accogliere la complessità contraddittoria del presente, andando oltre i profluvi di note, anzi cercando sempre l’essenza. Parliamo di una musica con molti risvolti spirituali, che cerca non tanto nelle parole, ma nel suono quell’anelito all’oltreumano.
Personalmente amo particolarmente l’incarnazione che ha dato vita ai tre album “Larks’ Tongues in Aspic”, “Starless And Bible Black” e “Red” a mio vedere tre pietre miliari nella storia del rock, di una bellezza ancor oggi struggente. Dischi imprescindibili, evidentemente animati da un’improvvisazione di matrice jazzistica come in “Starless And Bible Black”. Del resto con l’avanguardia jazz UK di Tippet&c i nostri erano in dialogo fin dagli esordi, così come con la poesia attraverso le parole di Peter Sinfield, considerato uno dei massimi poeti espressi dalla musica rock ed evidentemente influenzato da Shakespeare, Shelley Blake e Rilke.
Amo Robert Fripp per la capacità di curare parallelamente la pulizia tecnica e la continua ricerca timbrica sul suono, come forse nessuno mai dal dopoguerra ad oggi. Appunto fin da “Heroes” l’approccio al suono sta al centro dello stile chitarristico di Fripp e accompagna tutto il suo lavoro da decenni, insieme alle sperimentazioni ed alle registrazioni con Brian Eno, David Sylvian, Peter Gabriel, solo per citare tre esempi, oltre a molti progetti solistici. Volete ascoltare un esempio di queste ricerche?
In questa dimensione di perenne apertura oltre il conforto di qualsiasi genere, alla ricerca di un’espressione che sia poetica e per quel che è a portata dell’umano, assoluta e spirituale, la band ha attraversato i decenni passando dal progressive al rock, alla commistione con il jazz d’avanguardia, il rock improvvisato di Red, Starless and Bible Black e Lark’s Tongues in Aspic per arrivare alle venature new wave nei dischi degli anni 80 con Adrian Belew e il basso monumentale di Tony Levin, fino agli anni 90 con un rock corrosivo che sembra accogliere in un crogiolo i diversi periodi della band per arrivare all’attuale formazione particolarmente attiva dal vivo.
Il discorso che ha sempre ammorbato il rock è il suo sterile giovanilismo, che condanna i protagonisti di questo genere a repentine esplosioni di popolarità per poi dover assistere al proprio tramonto con il mutare degli stereotipi generazionali, mentre stancamente i protagonisti di un’epoca si ripropongono nelle stesse vesti. I Rolling Stones sono un classico esempio di questo imbarazzante e sterile meccanismo. Per i King Crimson questo discorso non c’è mai stato, conta ed ha sempre contato solo la musica e se Fripp ha oggi 79 anni dategli una chitarra ed una pedaliera come si deve e molti giovanotti dovranno abbassare la testa. La capacità di improvvisare, navigare ritmiche dispari, articolare i generi, dall’ambient, al metal, passando per la new wave, il progressive ed il funk, fa di questa creatura una Medusa dalle mille teste che non si è lasciata acchiappare da nessun stereotipo generazionale.
L’ascolto dei King Crimson non è sempre facile. Ad esempio nella playlist troverete “Fracture”: undici minuti strumentali, con parti molto astratte, alternate ad esplosioni di energia verso una dimensione spirituale, dove appunto il suono è illuminazione e si trova quell’autenticità emotiva che cerchiamo nell’arte. Abbiate coraggio e sarete ripagati come raramente accade. Apprezzare l’arte da fruitori è anche lasciarsi alle spalle ogni conforto per sporgersi nell’abisso dell’imprevedibile. In questi anni e mesi caotici, dove il caos come una polvere sottile ci entra nei polmoni e sale al cervello, contaminandoci di ansia, scoramento, disorientamento, l’arte, dove si manifesta con sincerità è ancora un tentativo possibile per ancorarci alla bellezza. Una bellezza che non è solo fatto estetico, ma armonia, ordine gentile della coesistenza nella diversità espressiva. I King Crimson sono tutto questo e quindi sono qualcosa di prezioso, sono medicamento contro il male. Dedico idealmente queste righe sconnesse a Jamie Muir, scomparso recentemente e che con le sue percussioni ha reso magnifici alcuni capolavori della band. Riposi in pace.
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King Crimson: rock, progressive, other.
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Robert Fripp
You know our approach here: conversational, subjective, shamelessly personal and never encyclopedic—just a simple musical gathering accompanied by a glass of wine. Rivers of ink have already been justly spilled on King Crimson, a band with over half a century of history behind it, and it’s not up to us to attempt another exegesis.
What sets King Crimson apart from the rest of the progressive caravan? The ability of Robert Fripp—the project’s deus ex machina—and the excellent musicians who have accompanied him through the band’s many incarnations, to listen and to truly listen to each other.
While much of progressive rock lost itself in solipsistic, self-referential fantasy games, neglecting any dialogue with the complex decades that passed inexorably by, King Crimson’s attentiveness—their openness to the unknown, their focus on the “here and now”—has always been clear.
I’ve seen Fripp solo several times, and I’ve seen King Crimson live. What stands out? They’re attentive, they listen, they dialogue. So when Fripp emerged from a spiritual retreat that had kept him away from the showbiz world in 1977, he was perfectly ready, spiritually, for Berlin—for tuning into Eno, Bowie, and that absolute, unforgettable guitar line in “Heroes.” When punk and later new wave swept away the fairy-tale labyrinths and endless, futile solos, King Crimson were there—ready to absorb new languages and undergo new metamorphoses. Not a small thing.
Across half a century, the lineups and sounds have changed, but the philosophy has remained: an unrelenting pursuit of new paths able to embrace the contradictory complexity of the present—beyond torrents of notes, always searching for essence. This is music with many spiritual facets, seeking, not in words but in sound, that yearning for the beyond-human.
Personally, I’m particularly fond of the incarnation that produced the three albums Larks’ Tongues in Aspic, Starless and Bible Black, and Red—to my mind, three milestones in rock history, of still-heartbreaking beauty. Essential records, clearly driven by a jazz-inspired improvisational spirit, as in Starless and Bible Black. After all, the band had been in dialogue with the UK jazz avant-garde of Tippett & co. since their beginnings, as well as with poetry through Peter Sinfield’s lyrics—Sinfield being one of the greatest poets rock music has produced, clearly influenced by Shakespeare, Shelley, Blake, and Rilke.
I love Robert Fripp for his ability to combine technical precision with continuous tonal research—perhaps like no one else since the postwar era. From Heroes onward, his approach to sound has been the core of his guitar style and the thread through his decades of work, including his experiments and recordings with Brian Eno, David Sylvian, Peter Gabriel—just to name three—along with countless solo projects. Would you like to hear an example of this research?
In this dimension of perpetual openness—beyond the comfort of any genre—seeking an expression that is poetic and, as far as humanly possible, absolute and spiritual, the band has crossed decades: from progressive rock to avant-jazz fusion, to the improvised rock of Red, Starless and Bible Black, and Larks’ Tongues in Aspic; to the new-wave inflections of the 1980s albums with Adrian Belew and Tony Levin’s monumental bass; and into the 1990s, with a corrosive rock that seemed to fuse all the band’s eras into a single crucible, leading to the current formation—still remarkably active live.
What has always plagued rock is its sterile youth obsession, condemning its protagonists to fleeting bursts of popularity followed by decline as generational stereotypes shift—while the heroes of one era reappear, wearied, in the same costumes. The Rolling Stones are a textbook example of this embarrassing, sterile mechanism. For King Crimson, that story never applied. What mattered—and still matters—is only the music. And if Fripp is 79 today, give him a proper guitar and pedalboard and many young men will have to bow their heads. The ability to improvise, to navigate odd rhythms, to weave together genres—from ambient to metal, new wave to progressive to funk—makes this creature a Medusa with a thousand heads, never caught by any generational cliché.
Listening to King Crimson isn’t always easy. In the playlist, for instance, you’ll find Fracture: eleven instrumental minutes, alternating highly abstract passages with bursts of energy that reach toward a spiritual dimension—where sound itself becomes illumination and emotional authenticity, that thing we seek in art, is found. Be brave, and you’ll be rewarded as rarely happens. To truly appreciate art is also to leave behind every comfort, to lean into the abyss of the unpredictable. In these chaotic times—when confusion seeps into our lungs like fine dust, climbs to the brain, infecting us with anxiety, discouragement, and disorientation—art, where it manifests sincerely, remains a possible attempt to anchor ourselves to beauty. A beauty that isn’t merely aesthetic, but an expression of harmony: a gentle order of coexistence within expressive diversity. King Crimson embody all of this—and so they are precious, a medicine against darkness. I dedicate these scattered lines to Jamie Muir, recently departed, whose percussion made some of the band’s masterpieces magnificent. May he rest in peace.
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