Esistenza è... beh... a che serve? Esisto nelle migliori condizioni possibili. Il passato è ora parte del mio futuro. Il presente è totalmente fuori controllo.
Lotto tra ciò che so essere giusto nella mia mente e una sorta di verità distorta vista attraverso gli occhi di altre persone che non hanno cuore e comunque non riescono a vedere la differenza.
Ian Curtis
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L’ondata del punk ha avuto una chiara valenza politica, un approccio di carattere collettivo , fatto di comunità e anche nelle esperienze più di costume e meno impegnate è stato un movimento costruito su parole d’ordine, definito da una moda ben precisa, dai vestiti al taglio dei capelli, che contestava e sfotteva i miti di una borghesia imbolsita. Syd Vicious cantava in chiave nichilista “My Way” di Frank Sinatra impacchettandola in un florilegio di stonature moleste, mentre i Clash attaccavano il benessere borghese con un anticapitalismo arrabbiato ed i Crass lavoravano a modelli collettivisti rilanciando l’anarchia. Tutto questo ardeva tra le fiamme di una rivoluzione sonora che si proponeva come superamento anche di un modo di far musica dove al virtuosismo ed a una spasmodica ricerca di un lirismo elaborato si sostituiva un nichilismo diretto, un sarcasmo incendiario, un fastidioso rimando allo spiacevole ed allo scorretto. Una tabula rasa tutta proiettata all’esterno e radicata in una dimensione evidentemente politica. In questo humus assistiano nell’estate del 1979 ad un repentino rovesciamento che non a caso non ha come città natale Londra.
Siamo a Manchester dove i Joy Division danno alle stampe “Unknown Pleasures” aprendo una spaccatura netta e insanabile con il punk, di cui raccolgono solo l’urgenza espressiva. L’interiorità, l’angoscia, la dimensione individuale, lo scavo psicologico delineano la nascita di un neoesistenzialismo senza speranze da coltivare, nemmeno il furore nichilista e tantomeno orizzonti politici. Il risultato è una musica che non sprizza rabbia, non grida fuori da sé, non è l’espressionismo di Grosz, ma è l’urlo sordo ed interiore di Bacon e prima di Munch. Se il punk attaccava modelli artistici, sociali ed economici rivolgendosi ad una controparte con un graffiante sarcasmo, la new wave dei Joy Division si torce nell’animo del soggetto, lo scava, ne mostra le povertà costitutiva, la questione irrisolta ed irrisolvibile dell’essere. La loro musica è gelida, gelida è la voce di Ian Curtis che canta parole gravide di solitudine, parole annichilite dalla paura e dalla sfiducia, dal disincanto, dall’impossibilità di amare.
Al cambio di poetica corrisponde una trasformazione sonora radicale con un modus compositivo geometrico, lontano dalla saturazione gli spazi sonori tipica del punk. La batteria di Morris sembra quasi una drum machine ed il basso di Peter Hook splende di uno stile inconfondibile, la chitarra di Sumner lontana e la voce di Curtis spettrale. Inconfondibile la produzione che con grande dedizione imbastisce Martin Hannett per i loro dischi. “Unknown pleasures” dirompente nel suo freddo bisogno espressivo, mentre “Closer” si fa già epitaffio, requiem e lascito dell’esperienza della gruppi, con colori cupi, rarefatti e suoni mai sentiti con una produzione assolutamente originale e modernissima e la voce di Ian Curtis tragicamente e liricamente emerge in “Closer” da una dimensione di rassegnato abbandono. Anche graficamente all’esplosione collagista e satura di immagini collage e scritte, caratteristica del punk si contrappone qui coerentemente la grafica minimale ed elegante di Peter Saville a marcare un altro mondo e una cifra stilistica agli antipodi rispetto all’estetica punk.
L’esperienza artistica dei Joy Division e a seguire gli sviluppi con i New Order dopo il suicidio di Ian Curtis, mostrano un’incrinatura importante nella musica occidentale che con la new wave ha avuto la sua ultima fiammata creativa capace di raccontare la realtà e raccontarsi, facendosi metafora di un sentire condiviso. Quel sentire si è prima diluito e poi dissolto nell’odierna incapacità di costruire metafore sia di ordine politico che interiore ed esistenzialista in un’esplosione e moltiplicazione di suoni effimeri e discorsi periferici. Se la solitudine di Ian Curtis, figlio di Rimbaud, Sartre e Camus, come la sua drammatica sofferenza, sono state un formidabile motore artistico oggi sono solo spaesamento e silenzio, non arrivano a farsi parola e discorso artistico. Assistiamo così ad un imbarazzante trionfo dell’effimero o nel migliore dei casi ad una canonizzazione di miti vecchi o quasi vecchi, non a caso esposti in musei o imprigionati in cofanetti antologici. Urne in cui raccogliere ceneri.
In questa parodia che è il presente, dove ogni narrazione è possibile ed al contempo la contraria, ascoltare i Joy Division significa ritrovarsi sotto i piedi qualcosa di solido e profondamente autentico e così il loro ascolto per contrasto si fa attuale. Come nella pittura di Munch o nelle sculture di Giacometti, nei Joy Division ritroviamo quella spietatezza di scavare e mostrare l’essere umano nudo e senza infingimenti od orizzonti consolatori. Cos’altro chiedere all’arte? CLICCATE QUI per scoprire una playlista originale dedicata alla band di Manchester e ritrovarvi per incanto immersi nei mari estremi, mentre la contemporaneità fa ogni possibile sforzo per dissimularne l’esistenza.
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Joy Division: new wave.
Existence is.. well.. what does it matter? I exist on the best terms I can. The past is now part of my future. The present is well out of hand.
I struggle between what I know is right in my own mind, and some warped truthfulness as seen through other people's eyes who have no heart, and can't see the difference anyway.
Ian Curtis
The wave of punk had a clear political significance, a collective approach, characterized by communities, and even in the less committed experiences, it was a movement built on slogans, defined by a very specific fashion, from clothing to haircuts, which contested and mocked the myths of a complacent bourgeoisie. Syd Vicious sang Frank Sinatra's "My Way" in a nihilistic key, packaging it in a mishmash of disturbing dissonances, while the Clash attacked bourgeois well-being with angry anticapitalism, and the Crass worked on collectivist models by promoting anarchy. All of this burned amidst the flames of a sonic revolution that aimed to surpass even a way of making music where virtuosity and a frantic search for elaborate lyricism were replaced by direct nihilism, incendiary sarcasm, an annoying reference to the unpleasant and the incorrect. A tabula rasa projected outward and rooted in an evidently political dimension. In this humus, in the summer of 1979, we witness a sudden overturning that, not by chance, does not have London as its birthplace.
We are in Manchester where Joy Division released "Unknown Pleasures," opening a clear and unbridgeable gap with punk, from which they only gathered expressive urgency. Interiority, anguish, individual dimension, psychological excavation delineate the birth of a hopeless neo-existentialism to cultivate, neither the nihilistic fury nor political horizons. The result is a music that does not burst with anger, does not scream outward, is not Grosz's expressionism, but Bacon's and before Munch's inward, muffled scream. If punk attacked artistic, social, and economic models, addressing a counterpart with biting sarcasm, Joy Division's new wave twists within the subject's soul, digs into it, shows its constitutive poverty, the unresolved and irresolvable issue of being. Their music is cold, Ian Curtis's voice is cold as he sings words pregnant with loneliness, words annihilated by fear and distrust, by disenchantment, by the impossibility of love.
A radical sonic transformation corresponds to the change in poetics with a geometric compositional modus, far from the saturation of sonic spaces typical of punk. Morris's drums almost seem like a drum machine, and Peter Hook's bass shines with an unmistakable style, Sumner's guitar distant and Curtis's voice spectral. The production by Martin Hannett for their records is unmistakable with great dedication. "Unknown Pleasures" is disruptive in its cold expressive need, while "Closer" is already an epitaph, requiem, and legacy of the group's experience, with dark, rarefied colors and sounds never heard before, with production absolutely original and very modern, and Ian Curtis's voice tragically and lyrically emerges in "Closer" from a dimension of resigned abandonment. Even graphically, the explosion of collages and saturated collage images and writings, characteristic of punk, is consistently countered here by Peter Saville's minimal and elegant graphics, marking another world and a stylistic figure opposite to punk aesthetics.
The artistic experience of Joy Division and the subsequent developments with New Order after Ian Curtis's suicide show an important crack in Western music which, with new wave, had its last creative flame capable of telling reality and telling itself, becoming a metaphor for a shared feeling. That feeling first diluted and then dissolved into today's inability to construct metaphors both political and interior and existentialist in an explosion and multiplication of ephemeral sounds and peripheral discourses. If Ian Curtis's loneliness, son of Rimbaud, Sartre, and Camus, as well as his dramatic suffering, were a formidable artistic engine, today they are only disorientation and silence, they do not become words and artistic discourse. We thus witness an embarrassing triumph of the ephemeral or, in the best case, a canonization of old or almost old myths, not by chance exhibited in museums or imprisoned in anthological boxes. Urns to collect ashes.
In this parody that is the present, where every narrative is possible and at the same time its opposite, listening to Joy Division means finding something solid and deeply authentic underfoot, and so their listening by contrast becomes current. As in Munch's painting or Giacometti's sculptures, in Joy Division, we find that ruthlessness of digging and showing the human being naked and without pretenses or comforting horizons. What else to ask of art? CLICK HERE to discover an original playlist dedicated to the Manchester band and find yourself enchantedly immersed in extreme seas, while contemporaneity makes every possible effort to conceal its existence.
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