Io son fatto per romper i coglioni a mezza umanità, e l’ho giurato; sì! ho giurato per Cristo! di consacrar la mia vita all’altrui perturbazione, e già qualcosa ho conseguito, ed è nulla a paragon di ciò che spero, se mi lasciano fare, o se non possono impedirmi il farlo.
Giuseppe Garibaldi
Vorrei che il giovane quando si mette a scrivere, non pensasse mai ad essere né melodista, né realista, né idealista, né avvenirista, né tutti i diavoli che si portion queste pedanterie. La melodia e l’armonia non devono essere che mezzi nella mano dell’artista per fare della Musica, e se verrà un giorno in cui non si parlerà più né di melodia né di armonia né di scuole tedesche, italiane, né di passato né di avvenire ecc. ecc. ecc. allora forse comincierà il regno dell’arte.
Giuseppe Verdi
Non irritatevi per il tenore dell’articoletto di oggi, al solito per la classica il vostro è in tandem con l’Orlando Furioso abbiamo deciso per un Verdi poco lirico e molto sinfonico, un quartetto d’archi, musica sacra e già qui ci meritiamo maledizioni assortite ed in più poca è la voglia di vergare chissà quali racconti o novelle musicologiche sul grande musicista: c’è chi lo sa far assai meglio di noi, a noi tocca affabularvi e spingervi verso la musica dove poi lasciarvi cadere. C’è solo un problema: il sottoscritto ed il Furioso siamo due tipetti un attimo incendiari…. Fiamme e fuoco siano!
Per parlare di Giuseppe Verdi partiamo dal bel film di Mario Martone “Noi Credevamo” di cui vi consigliamo vivamente la visione. Qual era l’Italia di Verdi e qual è l’Italia odierna? L’Italia del Risorgimento era un sogno, era il luogo di condottieri come l’altro grande Giuseppe ovvero Garibaldi o di pensatori come Mazzini, di giovani votati al sacrificio come i fratelli Bandiera, Carbonari, cospiratori vari pronti a tutto per togliersi di dosso l’oppressione austriaca al nord, dello spietato Stato Pontificio al centro e per riscattare il mezzogiorno dall’oppressione sanguinaria dei Borbone. L’Italia dei Ciro Menotti era un paese davvero animato da principi, dove la convenienza non veniva prima di tutto, il sacrificio era un valore e la patria un sogno da perseguire a rischio della vita. La musica di Giuseppe Verdi brucia di questi sentimenti, arde del desiderio di dare dignità ed onore all’Italia in un fuoco sacro che ha edificato il nostro paese e che ha tentato di creare una comunità di cittadini liberi e uniti, con un Garibaldi che sognava il suffragio universale e la democrazia. Noi credevamo ed in questo speravamo.
E oggi? Oggi non crediamo più in niente, l’Unità d’Italia è formalmente realizzata, ma nei fatti ancora da fare con il paese sempre più diviso in due, non solo economicamente, ma anche per istruzione, occupazione, infrastrutture, innovazione ed industrializzazione. Persi nella foresta postmoderna siamo accoccolati nell’ansia e nella paura, rancorosi e soprattutto senza sogni, con piccole speranzucce individuali, spesso egoistelle. Così nudi e vuoti ci aggiriamo e rigiriamo in una maleodorante retorica mediatica, dove si “difendono i confini della nazione” respingendo disperati che si giocano la vita alla roulette attraversando il Mediterraneo pur di sfuggire alla fame, alla sete ed alla povertà più nera o peggio alla guerra, salvo poi spalancare le nostre città ad una fantomatica “polizia cinese” tutta impegnata a perseguire dissidenti fuggiti da un regime spietato. Mai si sarebbero immaginati gli eroi risorgimentali questa vacuità, il potere per il potere ed un paese calcificato nei soliti problemi di sempre e in preda a pagliacciate televisive spacciate per informazione.. Giuseppe Garibaldi e gli altri prodi che hanno strappato a morsi l’Unità d’Italia speravano in ben altro rispetto a questa ignavia, questo piegarsi alle convenienze, ad un pacifismo che ignora i soprusi e strizza l’occhio ai peggiori despoti. Siamo pronti a perdere la libertà di cui godiamo ignorandola e cantiamo come statisti degli squallidi don Abbondio.
Giuseppe Verdi con la sua bella musica nega questa ignavia, risveglia dall’assopimento, dalla disattenzione come direbbe Nicola Biondo, per farci riaprire gli occhi sul dono della libertà, dono per cui gli eroi del Risorgimento si sono sacrificati senza esitazione, senza opportunismi e senza risparmio. Il tronfio motivetto che fa da inno nazionale all’Italia, la marcetta di Mameli, è un insulto alla grandezza di Giuseppe Verdi con il suo “Va Pensiero” dal Nabucco, nostro unico e vero inno nei fatti. È un Giuseppe Verdi patriottico quello che vi abbiamo cucinato, un monito al grande sonno, per citare Chandler, in cui annaspa l’Italia odierna, annegata in un sistema mediatico che veicola e promuove paure immaginarie, paventa invasioni inesistenti, coltiva egoismi spiccioli e porta alla ribalta minuscoli personaggi spacciati come leader politici pronti a cavalcare qualsiasi retorica, dalla pace alla povertà, per un tornaconto di parte. Il nostro è un Verdi politico, ben più politico di cantautori tanto celebrati quanto inconsistenti musicalmente, mentre qui c’è l’arte, c’è l’enfaasi travolgente, ma anche l’ironia ed il dramma, del tutto estranei ad un cantautorame che ci ha ammorbato per decenni con prediche, certezze fasulle e sentenze intrise del solito olezzo che emana la superiorità morale di chi si autoproclama nel giusto perché discendente di Berlinguer. Non basta il pedigree.
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Giuseppe Verdi: classical music.
I am made to annoy half of humanity, and I have sworn; yes! I have sworn for Christ! to consecrate my life to disturbing others, and I have already achieved something, and it is nothing compared to what I hope, if they let me do it, or if they cannot prevent me from doing it. Giuseppe Garibaldi
I would like the young, when they start writing, never to think of being either melodious, realistic, idealistic, futuristic, or all the devils that these pedantries share. Melody and harmony should only be means in the hands of the artist to make Music, and if a day comes when we no longer talk about melody, harmony, German, Italian schools, past, future, etc. etc. etc., then perhaps the reign of art will begin.
Giuseppe Verdi
Don't get upset about the tone of today's article, as usual, for the classic, yours is in tandem with the Orlando Furioso; we have opted for a Verdi who is not very lyrical and very symphonic, a string quartet, sacred music, and already here we deserve assorted curses, and there is little desire to write whatever stories or musicological tales about the great musician: there are those who can do it much better than us, we have to charm you and push you towards music where you can then let yourself fall. There is only one problem: the undersigned and the Furious are two slightly incendiary characters... Flames and fire be!
To talk about Giuseppe Verdi, let's start with Mario Martone's beautiful film "We Believed" (Noi Credevamo), which we highly recommend watching. What was Verdi's Italy like, and what is Italy like today? The Italy of the Risorgimento was a dream, it was the place of leaders like the other great Giuseppe, namely Garibaldi, or thinkers like Mazzini, of young people devoted to sacrifice like the Bandiera brothers, Carbonari, various conspirators ready to do anything to rid themselves of the Austrian oppression in the north, the ruthless Papal State in the center, and to redeem the south from the bloody oppression of the Bourbons. The Italy of Ciro Menotti was a country truly animated by principles, where convenience did not come before everything, sacrifice was a value, and the homeland was a dream to be pursued at the risk of life. Giuseppe Verdi's music burns with these feelings, it burns with the desire to give dignity and honor to Italy in a sacred fire that built our country and that tried to create a community of free and united citizens, with a Garibaldi who dreamed of universal suffrage and democracy. We believed, and in this we hoped.
And today? Today we no longer believe in anything, Italian unity is formally realized, but in fact, there is still much to be done with the country increasingly divided into two, not only economically but also in terms of education, employment, infrastructure, innovation, and industrialization. Lost in the postmodern forest, we are crouched in anxiety and fear, resentful and above all without dreams, with small individual hopes, often selfish. So naked and empty, we roam and turn in a foul-smelling media rhetoric, where the "defense of the nation's borders" is advocated by rejecting desperate people who play Russian roulette by crossing the Mediterranean just to escape hunger, thirst, and the darkest poverty or even worse, war, only to then open our cities to a phantom "Chinese police" all busy persecuting dissidents fleeing a ruthless regime. The heroes of the Risorgimento would never have imagined this emptiness, power for the sake of power, and a country ossified in the usual problems and caught in the clutches of televised clownery passed off as information. Giuseppe Garibaldi and the other brave men who tore Italy away believed in something very different from this cowardice, this bending to convenience, to a pacifism that ignores abuses and winks at the worst despots. We are ready to lose the freedom we enjoy by ignoring it and sing like politicians of the sordid Don Abbondio.
Giuseppe Verdi with his beautiful music denies this cowardice, awakens from lethargy, from inattention as Nicola Biondo would say, to make us open our eyes to the gift of freedom, a gift for which the heroes of the Risorgimento sacrificed themselves without hesitation, without opportunism, and without sparing. The triumphant motif that serves as the national anthem of Italy, Mameli's march, is an insult to the greatness of Giuseppe Verdi with his "Va Pensiero" from Nabucco, our only true anthem in fact. It is a patriotic Giuseppe Verdi that we have cooked for you, a warning to the great sleep, to quote Chandler, in which modern Italy flounders, drowned in a media system that conveys and promotes imaginary fears, threatens nonexistent invasions, cultivates petty selfishness, and brings to the fore tiny characters passed off as political leaders ready to ride any rhetoric, from peace to poverty, for a partisan gain. Ours is a political Verdi, much more political than musically inconsistent celebrated singer-songwriters, while here there is art, there is overwhelming emphasis, but also irony and drama, completely alien to a singer-songwriter scene that has plagued us for decades with preaching, false certainties, and sentences steeped in the usual stench that emanates from the moral superiority of those who proclaim themselves right because they are descendants of Berlinguer. Pedigree is not enough.
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