La gente qui mi chiede sempre: "Puoi suonare 'Lips Like Sugar' con una chitarra acustica?" E io rispondo: "No!" Era una canzone accettabile, suppongo, ma non suonava come noi. Siamo stati semplicemente risucchiati in una nuova mentalità su quell'ultimo album, il suono di Radio America. Ha fatto molto bene qui, ma a quel punto pensavo solo che non fossimo più abbastanza bravi. Era piuttosto eccitante, gli Stati Uniti stavano crescendo sempre di più ma non ci sentivamo bene sul palco. Non stavamo davvero comunicando come amici e cose del genere. Voglio dire, ero abituato a credere che fossimo il miglior gruppo in circolazione.
Ian McCulloch
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Una citazione che svela due tratti caratteriali di una personalità: insoddisfazione e insicurezza per delle scelte proprie e presunzione, due poli che spesso abitano la stessa persona e si alimentano tra loro. Di chi stiamo parlando? Scopriamo le nostre carte…..La capitale del pop inglese è indubbiamente Liverpool sinonimo di Beatles. Alla fine degli anni Settanta assistiamo ad un rifiorire di band che elaborano nuovi linguaggi per declinare in modo nuovo la musica pop. Un ruolo di assoluto rilievo tra le band di Liverpool spetta agli Echo and the Bunnymen, per la loro commistione di stili, tra new wave e psichedelia e per l’eredità che hanno lasciato a band come Coldplay, Verve e Radiohead. Parliamo di musicisti regolarmente nelle classifiche UK e che nella commistione tra linguaggi ha costruito uno stile originale, lontano dall’essenzialità di certo post punk, riscoprendo il gusto per arrangiamenti più elaborati, utilizzando anche archi e chitarre psichedeliche in un amalgama immediatamente riconoscibile insieme alla voce caratteristica di Ian McCulloch.
In sostanza vi presento questa band perché se dagli anni 90 in poi il Brit Pop ha monopolizzato le classifiche di tutto il mondo ed è come lo conosciamo, con gruppi come Verve, Blur e Oasis e Coldplay, dietro ci sono proprio loro, Echo and the Bunnymen con i primi quattro album assolutamente da non perdere allora e oggi da riscoprire. Lo stile di McCulloch rimanda sicuramente a Bowie e cerca anche nel cantato uno stile elaborato. C’è nella band di Liverpool la costante preoccupazione di costruire un’estetica a partire ovviamente dalla musica, ma coinvolgendo ogni aspetto del loro lavoro, si pensi alle copertine con le belle fotografie di Brian Griffin. Le immagini delle loro copertine sono inondate di luci surreali, dagli arancioni di “Crocodiles” ai colori plumbei di “Heaven Up Here” fino alla neve di “Porcupine” ed al blu intenso di “Ocean Rain”, ovvero i 4 capolavori della band. Fotografie e colori raccontano la musica con coerenza, nel desiderio appunto di creare opere coese e con uno stile ben preciso, un’estetica.
Per noi che compravamo vinili come in un rituale religioso, agoniando prima i dischi nelle vetrine dei negozi, bramandoli tra le mani dopo ore tra gli scaffali e comprandoli risparmiando gli spiccioli della paghetta, queste copertine tra il surreale e il simbolico erano per noi oggetto di venerazione incondizionata. La band pur scalando le classifiche UK non ha mai raggiunto la popolarità planetaria di gruppi come Verve, Oasis e Coldplay negli anni 90 soprattutto per non aver cercato compromessi nei primi album e naturalmente per i misteriosi giochi del destino difficili da interpretare. Tutto questo porterà gli Echo and the Bunnymen prima ad uno scioglimento e poi ad un ritorno, con dischi che non raggiungeranno i fasti dei primi 4 album tra cui il capolavoro “Ocean Rain”, ancora oggi un disco essenziale. I nostri alla ricerca del successone strizzeranno l’occhio a melodie più commerciali nel loro quinto album, che porta il loro nome e si coglie subito come abbiamo abbandonato la freschezza originaria. Detto questo il singolo “Lips like Sugar” resta una canzone pop molto piacevole, sia pur abbandonando le sperimentazioni degli altri album.
Altro plusvalore è dato dalle trame delle chitarre di Will Sergeant, che guardano indubbiamente alla psichedelia degli anni 60 e costruiscono l’ossatura delle composizioni della band, dandogli un’identità musicale che appunto abbandona l’essenzialità che dal punk alla new wave ha caratterizzato la musica degli anni 80, preferendo trame complesse e un approccio che cerca commistioni insolite per quegli anni, come ad esempio con la musica indiana in “Porcupine” dove troviamo il contributo di Shankar al double violin. C’è un desiderio di elaborazione originale e anche di sperimentazione nelle canzoni degli Echo and the Bunnymen, che hanno reso la band sicuramente tangenziale rispetto ai gusti del grande pubblico, però proprio questa attitudine ha reso il gruppo di McCulloch e Will Sergeant seminale ed anticipatore.
Tornare alle loro canzoni significa, almeno per me, ritrovare questi brani nella loro efficacia espressiva e nella loro attualità, che superando l’esame del tempo indubbiamente mostra lo spessore dei primi quattro album degli Echo and the Bunnymen. CLICCATE QUI per scoprire una playlist antologica dedicata alla band di Liverpool selezionata per voi da Mr Pian Piano o utilizzate il player che presto troverete in tutti i post su (((RadioPianPiano))).
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Echo and the Bunnymen: pop, new wave
People here are always asking me, "Can you play 'Lips Like Sugar' on an acoustic guitar?" And I'm like, "No!" It was an OK song, I suppose, but it didn't sound like us. We just got sucked into a new mentality on that last album, the sound of Radio America. It did great here, but by then I just thought we weren't good enough any more. It was pretty happening, the States was building and building but it didn't feel good on stage. We weren't really communicating as mates and stuff. I mean, I was used to believing that we were the best group going.
Ian McCulloch
A quote that reveals two character traits of a personality: dissatisfaction and insecurity about one's own choices and arrogance, two poles that often inhabit the same person and feed off each other. Who are we talking about? Let's reveal our cards... The capital of English pop is undoubtedly Liverpool, synonymous with the Beatles. At the end of the 1970s, we witnessed a resurgence of bands that developed new languages to redefine pop music. A prominent role among Liverpool bands belongs to Echo and the Bunnymen, for their blend of styles, between new wave and psychedelia, and for the legacy they left to bands like Coldplay, Verve, and Radiohead. We're talking about musicians regularly in the UK charts who, through their blend of languages, built an original style, far from the minimalism of certain post-punk, rediscovering a taste for more elaborate arrangements, also using strings and psychedelic guitars in an immediately recognizable mix along with Ian McCulloch's distinctive voice.
In essence, I present this band to you because if from the '90s onwards Brit Pop monopolized charts worldwide and is as we know it, with groups like Verve, Blur, Oasis, and Coldplay, behind them are indeed Echo and the Bunnymen with their first four albums absolutely not to be missed then and now to be rediscovered. McCulloch's style certainly refers to Bowie and also seeks an elaborate style in singing. There is in the Liverpool band a constant concern to build an aesthetic starting obviously from the music but involving every aspect of their work, think of the covers with the beautiful photographs by Brian Griffin. The images on their covers are flooded with surreal lights, from the oranges of "Crocodiles" to the leaden colors of "Heaven Up Here" to the snow of "Porcupine" and the deep blue of "Ocean Rain," that is, the four masterpieces of the band. Photographs and colors consistently tell the music, in the desire to create cohesive works with a precise style, an aesthetic.
For us who bought vinyl like a religious ritual, coveting the records in shop windows first, craving them in our hands after hours among the shelves, and buying them by saving our pocket money, these covers, between surreal and symbolic, were objects of unconditional veneration for us. The band, despite climbing the UK charts, never reached the global popularity of groups like Verve, Oasis, and Coldplay in the '90s mainly for not seeking compromises in their first albums and naturally due to the mysterious games of destiny that are difficult to interpret. All this would lead Echo and the Bunnymen first to a breakup and then a return, with records that would not reach the heights of the first four albums, including the masterpiece "Ocean Rain," still an essential album today. In search of a big hit, they would wink at more commercial melodies in their fifth album, which bears their name, and it is immediately evident how they abandoned the original freshness. That said, the single "Lips Like Sugar" remains a very pleasant pop song, even though it abandons the experimentation of the other albums.
Another added value is given by the guitar textures of Will Sergeant, which undoubtedly look to the psychedelia of the '60s and build the backbone of the band's compositions, giving it a musical identity that indeed abandons the minimalism that characterized '80s music from punk to new wave, preferring complex textures and an approach that seeks unusual blends for those years, such as with Indian music in "Porcupine" where we find Shankar's contribution on the double violin. There is a desire for original elaboration and also experimentation in Echo and the Bunnymen's songs, which made the band certainly tangential to mainstream tastes, but this very attitude made McCulloch and Will Sergeant's group seminal and pioneering.
Returning to their songs means, at least for me, finding these tracks in their expressive effectiveness and their relevance, which, surpassing the test of time, undoubtedly shows the depth of the first four albums by Echo and the Bunnymen. CLICK HERE to discover an anthology playlist dedicated to the Liverpool band selected for you by Mr. Pian Piano or use the player that you will soon find in all posts on (((RadioPianPiano)))).
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