L'incapacità è spesso la madre della restrizione e la restrizione è la grande madre della performance inventiva.
Questa musica non ha inizio né termine, è lo sgorgare continuo di un punto verso l'infinito, e un'infinita distorsione del tema in uno spazio a mille dimensioni, ove nascono invenzioni ulteriori e ulteriori strati di riverberi.
Holger Czukay
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Cosa ho amato ed amo dei CAN? La capacità di scrivere canzoni, quindi di rispettare un codice, semplice ma ben definito, con leggi e rituali e al contempo di spingersi nell’assoluta astrazione, là dove più che la melodia è il suono a dettare le sue leggi. Ognuno di loro da Holger Czukay, l’inconfondibile baffone, passando per Schmidt, ambedue allievi di Stockhausen, per arrivare ai ritmi sghembi di un post Paul Motian come Jaki Libezeit o alle chitarre storte di Karoli, ci troviamo di fronte musicisti capaci di muoversi su dimensioni diverse, di pensare mondi sonori tra loro lontanissimi. Qualità rara e difficile per un musicista e per chi scrive un grande regalo al momento dell’ascolto. Ascoltare un loro disco significa infatti immergersi in un viaggio visionario, tra canzoni e lunghe suite strumentali, scavalcando ogni stereotipo, andando oltre qualsiasi genere, con un approccio improvvisativo e contemplativo.
Precursori, troppo precursori. Ascoltate “Cruise” in quel disco per addetti ai lavori che è “Canaxis 5” di Holger Czukay e andate a leggervi la data in cui è uscito: 1969! Ora ditemi se quel brano non è una prefigurazione dell’ambient music, per come sarà conosciuta un quinquennio dopo. Si respira nei CAN una libertà estrema, uno spirito creativo senza compromessi, una sinergia di cervelli come raramente ne abbiamo incontrate nella musica e proprio per questo una band per lo più poco conosciuta a parte qualche successo e puntatina nelle classifiche tedesche, è oggi sostanzialmente dimenticata nel flusso mostruoso dello streaming digitale e che qui con la nostra piccola rubrica percorriamo controcorrente come salmoni, con l’obiettivo di vuotare il mare con un cucchiaino.
Visto che pochi giorni fa Damo Suzuki ha raggiunto Czukay, Karoli e Libezeit nell’aldilà (riposino tutti in pace) eccoci a raccontare questa cometa nella musica degli anni 70. Sempre più scriviamo di fantasmi, ma la musica forse muore con i musicisti che l’hanno creata? I Can si formano nel 1965 dall'incontro tra Czukay, anima sperimentatrice e il futuro tastierista Irmin Schmidt, entrambi allievi di Stockhausen a sancire con CAN la nascita di un bellissimo ibrido tra musica colta ed esclusiva e popolare. Rapidamente si uniscono ai primi folli sperimentatori il batterista Jaki Liebezeit con trascorsi free-jazz, e il chitarrista Michael Karoli Quale cantante viene reclutato l'afroamericano Malcolm Mooney a cui subentrerà Damo Suzuki, con un ritorno di Mooney in dischi recenti. Czukay crea uno studio in un castello nei pressi di Colonia ed i CAN iniziano a macinare musica.
Monster Movie (1969), registrato dal vivo in Norvegia è da ricordare per l’allucinata"Yoo Doo Right", un assemblaggio progressivo e regressivo di sfumature liriche tra un riff e un tema compositivo elementare. Ma l'album è da ascoltare anche per le lunghe e tormentate frasi melodiche di "Mary, Mary, So Contrary". Come racconta Czukay, il suono dei Can sembra superare le barriere del tempo, e la batteria non tiene il tempo, ma circoscrive lo spazio. L'era della voce spezzata di Malcolm Mooney ricoverato in un ospedale psichiatrico, ha fine in Soundtracks (1970), album che archivia la loro carriera di musicisti per colonne sonore con una serie di pezzi molto interessanti.
In luogo del rantolo di Mooney, scopriamo il timbro vagamente androgino del non-cantante giapponese "Damo" Suzuki, incontrato per le strade di Colonia. "Se ne andavano tutti mentre Damo si aggirava sul palco alla stregua di un samurai", ricorda Czukay, che con Suzuki e gli altri allestirà il doppio Tago Mago (1971). I Can superano la caotica psichedelia che aveva caratterizzato i primi dischi per comporre una musica d'avanguardia, forte di improvvisazioni libere. Gli inglesi lo chiameranno "kraut-rock", infilandoci altri illustri esponenti di quella stagione, quali Faust, Amon Duul, Neu!, Popul Vuh e tanti altri. L'album Future Days (1973) irripetibile consacrazione del rock cosmico e nessuno riproporrà mai musica simile in maniera così raffinata negli anni Settanta. Ege Bamyasi (1972) è un album diretto da una tecnica compositiva ormai del tutto evoluto da cui emergono canzoni classiche e singoli di successo come "Spoon" (numero uno in Germania).
Soon Over Babaluma (1974) è ricco di esperimenti di pura avanguardia come "Chain Reaction/Quantum Phisic”. Del loro periodo successivo restano gemme sonore sparse in disordine e una manciata di dischi che sanciscono un rapido declino. Cosa resta? Una moltitudine di artisti, tra i quali Brian Eno, Tortoise, Stereolab, Talking Heads e Sonic Youth, giusto per citarne alcuni, si è ispirata a piene mani ai CAN e ne ha tratto direttamente idee non facendone mistero. Non a caso Czukay e Libezeit in particolare saranno ricercati per realizzare collaborazioni, alcune particolarmente fertili come quella tra David Sylvian ed Holger Czukay. Accomodatevi come al solito nel nostro ristorante sonoro, CLICCATE QUI e scoprite una sontuosa playlist che viaggia tra molti degli album dei CAN, lasciatevi trasportare dalla corrente del suono, galleggiate tra le linee di basso ed i sintetizzatori, tra le bolle elettriche della chitarra ed i ritmi sghembi o le canzoni composte per il cinema, con registi tra cui Wim Wenders.
Desiderate qualcosa di diverso dal kraut rock dei CAN? Il jukebox di Mr Pian Piano con tutti i musicisti e le musiciste del nostro intrigante menù è come ogni domenica a vostra completa disposizione: classica, jazz, pop, rock e ambient sono lì ad aspettarvi. Se volete scoprire in dono altre monografie curate da Mr Pian Piano di decine e decine e decine (e decine) di superbi musicisti vi basta accomodarvi qui:
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CAN: avantgarde, rock.
Incapability is often the mother of restriction, and restriction is the great mother of inventive performance.
This music has neither beginning nor end; it is the continuous flow from a point towards infinity, and an endless distortion of the theme in a space of a thousand dimensions, where further inventions are born, and further layers of reverberations.
Holger Czukay
What have I loved and still love about CAN? The ability to write songs, thus respecting a code, simple but well-defined, with laws and rituals, while at the same time delving into absolute abstraction, where more than the melody, it is the sound that dictates its laws. Each of them, from Holger Czukay, the unmistakable mustached figure, to Schmidt, both students of Stockhausen, to the off-kilter rhythms of a post-Paul Motian figure like Jaki Liebezeit or the crooked guitars of Karoli, we find ourselves facing musicians capable of moving on different dimensions, of thinking up sound worlds that are vastly distant from each other. A rare and difficult quality for a musician and for those who write, a great gift at the moment of listening. Indeed, listening to one of their records means immersing oneself in a visionary journey, among songs and long instrumental suites, bypassing every stereotype, going beyond any genre, with an improvisational and contemplative approach.
Precursors, too much so. Listen to "Cruise" on that insider's record that is "Canaxis 5" by Holger Czukay and go read the release date: 1969! Now tell me if that track isn’t a prefiguration of ambient music, as it will be known five years later. In CAN, there's an extreme freedom, a creative spirit without compromises, a synergy of minds as rarely encountered in music, and precisely for this reason, a band mostly unknown apart from some successes and occasional appearances in the German charts, is today essentially forgotten in the monstrous flow of digital streaming and which we here in our small column go against the current like salmon, with the aim of emptying the sea with a teaspoon.
Given that a few days ago Damo Suzuki joined Czukay, Karoli, and Liebezeit in the afterlife (may they all rest in peace), here we are to recount this comet in the music of the 70s. Increasingly, we write about ghosts, but does music perhaps die with the musicians who created it? CAN formed in 1965 from the meeting between Czukay, the experimental soul, and the future keyboardist Irmin Schmidt, both students of Stockhausen, to seal with CAN the birth of a beautiful hybrid between cultured and exclusive music and popular music. Quickly joining the first mad experimenters were drummer Jaki Liebezeit with a background in free jazz, and guitarist Michael Karoli. The Afro-American Malcolm Mooney was recruited as the singer, followed by Damo Suzuki, with a recent return of Mooney in recent records. Czukay set up a studio in a castle near Cologne, and the CAN began to churn out music.
"Monster Movie" (1969), recorded live in Norway, is to be remembered for the hallucinatory "Yoo Doo Right", a progressive and regressive assemblage of lyrical nuances between a riff and an elementary compositional theme. But the album is also to be listened to for the long and tormented melodic phrases of "Mary, Mary, So Contrary". As Czukay recounts, the sound of Can seems to overcome the barriers of time, and the drums do not keep time but circumscribe space. The era of Malcolm Mooney's broken voice, hospitalized in a psychiatric hospital, ends in "Soundtracks" (1970), an album that archives their careers as musicians for soundtracks with a series of very interesting pieces.
Instead of Mooney's rattle, we discover the vaguely androgynous timbre of the non-singer, Japanese "Damo" Suzuki, encountered on the streets of Cologne. "They were all leaving while Damo roamed the stage like a samurai," recalls Czukay, who with Suzuki and the others will set up the double "Tago Mago" (1971). CAN surpassed the chaotic psychedelia that had characterized their early records to compose avant-garde music, strong of free improvisations. The English will call it "kraut-rock", sticking other illustrious exponents of that season in it, such as Faust, Amon Duul, Neu!, Popul Vuh, and many others. The album "Future Days" (1973) is an irreplaceable consecration of cosmic rock, and no one will ever reproduce similar music so refined in the seventies. "Ege Bamyasi" (1972) is an album directed by a compositional technique now completely evolved from which classic songs and successful singles emerge, like "Spoon" (number one in Germany).
"Soon Over Babaluma" (1974) is rich in experiments of pure avant-garde like "Chain Reaction/Quantum Phisic”. Of their later period, there are scattered sound gems in disorder and a handful of records that mark a rapid decline. What remains? A multitude of artists, including Brian Eno, Tortoise, Stereolab, Talking Heads, and Sonic Youth, just to name a few, have drawn inspiration from CAN and directly derived ideas without making a secret of it. It is no coincidence that Czukay and Liebezeit in particular will be sought after for collaborations, some particularly fertile like that between David Sylvian and Holger Czukay. Sit back as usual in our sound restaurant, CLICK HERE, and discover a sumptuous playlist that travels through many of CAN's albums, let yourself be carried away by the current of sound, float among the bass lines and synthesizers, among the electric bubbles of the guitar and the off-kilter rhythms or the songs composed for the cinema, with directors including Wim Wenders.
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