La musica dovrebbe arricchire l'anima; dovrebbe insegnare la spiritualità mostrando a una persona una parte di sé che non avrebbe scoperto altrimenti. È facile riscoprire una parte di sé, ma attraverso l'arte si può mostrare una parte di sé che non si sapeva esistesse. Questa è la vera missione dell'arte. L'artista deve trovare dentro di sé qualcosa di universale che possa essere messo in termini comunicabili ad altre persone. La magia è che l'arte può comunicare a una persona senza che questa se ne renda conto... L'arricchimento, questa è la funzione della musica.
Bill Evans
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Incontrando Bill Evans ci inoltriamo nel territorio abitato dai giganti, scopriamo il miglior trio jazz mai esistito, nella formazione con Evans al piano, Paul Motian alla batteria e Scott La Faro al contrabbasso. Affermazione fastidiosamente definitiva, ma che mi sento di sostenere. Lo stesso Bill Evans al pianoforte nel capolavoro Kind of Blue di Miles Davis dove è protagonista di una svolta nella poetica del grande trombettista.
Blue, la malinconia appunto, che lo ha abitato per tutta la vita. Pensare un musicista ogni domenica spinge all’affanno sia me che Mr Pian Piano, piacevolissimo affanno, sia chiaro, ma il ritmo è serrato. Avevo altri programmi per oggi, ma sono arrivato a venerdì sera stracarico di malinconia e lì c’era la poesia sottile e discreta di Bill Evans ad aspettarmi. Cos’altro fare?
Un jazzista colto, che amava molto la musica classica, ascoltava Béla Bartòk e ne parlava con Miles Davis, cambiando il corso della musica jazz. Era un uomo schivo in un mondo, quello del jazz, fatto spesso di figure esuberanti, estroverse, scontrose, mentre lui introverso, ripiegato su se stesso, rilanciava con la sua musica una dolcezza infinita, una gentilezza in cui anneghiamo in vertigini improvvise. Mai perso nelle iperboli del tecnicismo strumentale, come accade purtroppo a molti virtuosi del jazz, era attento alla sostanza interiore della musica cercandone una dimensione semplicemente spirituale, là dove spirituale non allude al religioso, ma all’essenza, che non è mai ornamento.
Ricordo quando comprai “Live at the Village Vanguard” lo ascoltai distrattamente, ero abituato al post punk e cercavo avanguardie jazz, cose sperimentali, meglio se violente e destrutturate. Lo scoprivo attraverso Miles. Certo sapevo che Evans non era Ornette Coleman o gli Art Ensemble od Chicago, ma amavo il Miles elettrico e sapendo che aveva suonato con Davis lo comprai. Che musichetta da bar è mai questa? Mi son detto da perfetto stupido ragazzetto presuntuoso. Il disco suonava ed io distratto e annoiato meditavo di sbarazzarmene, poi è arrivato l’ultimo brano presente in due versioni, perché i musicisti si erano esibiti nel tardo pomeriggio e dopo cena. Il pezzo si chiama “Jade Visions” ed è una delle cose più belle che abbia mai ascoltato ancor oggi. Rimasi senza fiato anche allora e mi diedi immediatamente dell’asino, comprando altro ed entrando nel mondo di Evans sottovoce ed a piccoli passi: non c’è altra via.
Mai come con Evans si rende necessario “ascoltare” e farlo con pazienza, andando ben oltre le apparenze, al di là della superficie melodica delle note e degli arrangiamenti, tralasciando l’etichetta con sopra scritto jazz: siamo di fronte a della musica nel senso più alto del termine, innovativa, improvvisata, lirica. Basti pensare al meraviglioso protagonismo di La Faro nel trio, dove il contrabbasso diventa non accompagnamento ritmico, ma strumento armonico e solista, dando al suono del trio un’identità completamente nuova. La poeticità del suo suono riporta ad un’esperienza lirica, che è nascosta dietro ad una superficie melodica, ma non è semplice da superare questo ostacolo e si rischia di percepire Evans come qualcosa di semplicemente orecchiabile. Ascoltate e riascoltate la sua musica, dove le sfumature e le timbriche sono tesori nascosti.
Accade spesso con la poesia: si nasconde. Bill Evans è un poeta anche ora, qui tra noi con la sua musica, ma la poesia è fragile, spinge l’animo umano in territori aspri, certo autentici, ma impervi. Il nostro musicista era persona sensibile e quando Scott La Faro morì in un incidente stradale Evans scomparve dalla scena musicale per sei mesi, cercando di lenire la sofferenza per la perdita dell’amico con l’eroina. La sua storia come uomo è stata difficile: il padre etilista violento, il fratello ed una fidanzata che si tolsero la vita e l’eroina alla fine ce lo ha portato via… Ma la poesia resta, perché quando ti spingi lontano e lasci una traccia, gli uomini sentono il profumo dell’autenticità e ti ascoltano. Quindi Bill Evans lascia in eredità la gioia di una musica intensa, allegra o riflessiva, ma mai banale. Mr Pian Piano silenzioso mi ascolta e attento raccoglie le composizioni del nostro artista cucinandole con amore. Molto spazio tra le portate sonore al mitico trio Evans, Motian e La Faro, ripeto per me il migliore che abbia mai calcato il pianeta. CLICCATE QUI e gentilmente Bill Evans entrerà nelle vostre orecchie con una selezione di quasi due ore curata da Mr Pian Piano.
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Bill Evans: jazz.
Music should enrich the soul; it should teach spirituality by showing a person a portion of himself that he would not discover otherwise. It’s easy to rediscover part of yourself, but through art you can be shown part of yourself you never knew existed. That’s the real mission of art. The artist has to find something within himself that’s universal and which he can put into terms that are communicable to other people. The magic of it is that art can communicate to a person without his realizing it… enrichment, that’s the function of music.
Bill Evans
In meeting Bill Evans we enter the territory inhabited by giants, we discover the best jazz trio ever, in the lineup with Evans on piano, Paul Motian on drums and Scott La Faro on double bass. Annoyingly definitive statement, but one that I would argue. Bill Evans himself on piano in Miles Davis's masterpiece Kind of Blue where he stars in a breakthrough in the great trumpeter's poetics.Blue, melancholy indeed, inhabited him throughout his life. Thinking a musician every Sunday drives both me and Mr. Pian Piano to breathlessness, very pleasant breathlessness, let me be clear, but the pace is tight. I had other plans for today, but I arrived at Friday night overwrought with melancholy, and there was the subtle, unobtrusive poetry of Bill Evans waiting for me. What else to do?
An educated jazzman who loved classical music very much, he listened to Béla Bartók and talked about it with Miles Davis, changing the course of jazz music. He was a shy man in a world, that of jazz, often made up of exuberant, extroverted, grumpy figures, while he introverted, folded in on himself, relaunched with his music an infinite sweetness, a gentleness in which we drown in sudden dizziness. Never lost in the hyperbole of instrumental technicality, as unfortunately happens to many jazz virtuosos, he was attentive to the inner substance of music seeking its simply spiritual dimension, there where spiritual does not allude to religious, but to essence, which is never ornamentation.
I remember when I bought "Live at the Village Vanguard" I listened to it distractedly, I was used to post punk and I was looking for jazz avant-garde, experimental stuff, preferably violent and unstructured. I was discovering it through Miles. Of course I knew Evans was not Ornette Coleman or the Art Ensemble or Chicago, but I loved the electric Miles and knowing he had played with Davis I bought it. What kind of bar music is this? I said to myself like a perfect stupid cocky kid. The record played and I absent-mindedly and boredly pondered getting rid of it, then came the last track featured in two versions because the musicians had performed late afternoon and after dinner. The piece is called "Jade Visions," and it is one of the most beautiful things I have ever heard even today. I was breathless even then and immediately called myself an ass, buying more and entering Evans' world under my breath and in small steps: there is no other way.
Never as with Evans does it become necessary to "listen" and to do so patiently, going far beyond appearances, beyond the melodic surface of notes and arrangements, leaving out the label with jazz written on it: we are faced with music in the highest sense of the word, innovative, improvised, lyrical. Just think of La Faro's wonderful prominence in the trio, where the double bass becomes not a rhythmic accompaniment, but a harmonic and solo instrument, giving the trio's sound a completely new identity. The poetic nature of his sound brings one back to a lyrical experience that is hidden behind a melodic surface, but this obstacle is not easy to overcome and one risks perceiving Evans as something merely catchy. Listen and listen again to his music, where nuances and timbres are hidden treasures.
It often happens with poetry: it hides. Bill Evans is a poet even now, here among us with his music, but poetry is fragile, pushing the human soul into rough, certainly authentic, but impervious territories. Our musician was a sensitive person, and when Scott La Faro died in a car accident Evans disappeared from the music scene for six months, trying to ease the pain of losing his friend with heroin. His story as a man was a difficult one: his abusive ethylist father, his brother and a girlfriend who took their own lives, and heroin eventually took him from us... But the poetry remains, because when you go far and leave a trail, men smell authenticity and listen. So Bill Evans bequeaths the joy of music that is intense, cheerful or reflective, but never dull. Mr Pian Piano quietly listens to me and attentively collects our artist's compositions, cooking them up with love. Much space among the sound courses to the legendary trio Evans, Motian and La Faro, I repeat for me the best that ever trod the planet. CLICK HERE and kindly Bill Evans will enter your ears with a nearly two-hour selection curated by Mr Pian Piano.
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