Io vedo tutto così, la superficie delle cose, una specie di Braille mentale, mi limito a passare le mani sulla superficie delle cose. Mi considero un artista americano. […] Con la mia arte rappresento gli USA, ma ciò non vuol dire che io faccia critica sociale: rappresento quei determinati oggetti nei miei dipinti perché sono le cose che conosco meglio. Non sto affatto tentando di fare una critica agli USA o tentando di mostrarne la bruttezza: sono solo puramente un artista.
I copioni mi annoiano. È molto più eccitante non sapere cosa succederà. Non credo che la trama sia importante. Se vedi un film con due persone che parlano, puoi guardarlo più volte senza annoiarti. Ci si lascia coinvolgere, ci si perde qualcosa, si torna a guardarlo... Ma non si può rivedere lo stesso film se ha una trama, perché si conosce già il finale... Tutti sono ricchi. Tutti sono interessanti.
Andy Warhol
Dopo la seconda guerra mondiale il mondo si è rialzato, televisioni e supermercati ubriacano di benessere e qui in Italia sono gli anni del boom economico, cambiano i costumi, circolano idee e modelli culturali nuovi. Andy Warhol nella sua ineffabile ambiguità è uno dei padri dell’arte contemporanea ed abita proprio quest’epoca, i favolosi anni 60, la Dolce Vita dove Fellini scrittura anche una biondissima Nico, musa dell’artista americano.. Non mi esalta il suo lavoro esteticamente, se si escludono le serie dei “car crash” e le “electric chair” viste al Centre Pompidou e di grande impatto, ma nella storia dell’arte odierna il suo peso è indubitabilmente enorme. Warhol guarda con grande acutezza ai miti contemporanei, costruendo una grammatica visiva di impatto immediato e leggibile da chiunque, anche se totalmente digiuno di arte. Si cancella così in via definitiva il paradigma delle avanguardie storiche del XX secolo, ovvero di un’arte fatta per esser compresa da pochi, che richiedeva spiegazioni, scritti, teorie, manifesti, conoscenze puntuali e specialistiche, si pensi ad esempio all’astrattismo di Kandinskij.
Andy Warhol cancella tutto questo: l’arte è semplicemente quello che appare e per rendere ben comprensibile quel che appare Warhol guarda ai miti contemporanei, così come gli antichi Greci avevano i loro nell’Olimpo e su quei miti hanno costruito un’estetica, così il grande artista americano guarda alle proiezioni dell’uomo contemporaneo e su queste costruisce la sua estetica. Il rock e la musica sono una delle basi, se non la base più importante su cui Warhol lavora per costruire il mito di se stesso e di un mondo facilmente comprensibile per chi guarda le sue opere. Ecco perché dipinge e si circonda di rockstar o stelle del cinema: sono un grande mito popolare.
Andy Warhol dipinge immagini di Elvis Presley, Mick Jagger, John Lennon, Liza Minelli, Prince, Debbie Harry e chi più ne ha più ne metta. Trasforma un luogo, la Factory e dal 1962 al 1968 lo fa diventare laboratorio di riferimento per la creatività a New York. Qui nascono le famose serigrafie seriali del padre della Pop Art con i ritratti di Mao (ancor oggi proibito farlo circolare in Cina: sarebbe irrispettoso del “grande timoniere” poveri noi…) della Monroe, di Liz Taylor e tantissimi altri, ma è al contempo anche set cinematografico, luogo per sfilate di moda, ritrovo festaiolo, sala prove dei leggendari Velvet Underground di Lou Reed, John Cale e della bellissima Nico… Qui convergono a far baldorie in feste deraglianti Jim Morrison dei Doors, Lou Reed, Nico, Mick Jagger, Bob Dylan e molte altre “stelle” del firmamento rock. Non a caso Andy Warhol si occupa anche di arti applicate firmando la grafica di vinili entrati nella leggenda come il primo dei Velvet Underground, Sticky Fingers e Love you live dei Rolling Stones, Menlove Ave di John Lennon e tanti altri. La banana dei Velvet ed i jeans degli Stones sono assai allusivi a marcare la voglia di provocare e rompere le convenzioni.
Le rockstar ricambieranno ovviamente questa attenzione, dedicando brani a Mr Andy Warhol, come fece Bowie o interi album per ricordarlo come Lou Reed e John Cale con “Songs for Drella”” e altri che troverete in playlista o chiedendo appunto al grande artista di curare le copertine dei loro dischi. Droga a fiumi, dissolutezze varie, overdose, sesso, droga (arte) & rock’n roll e anche qualche colpo di pistola , ma al contempo anche il sorgere della cultura transgender con Jackie Curtis, che tanto influenzerà il glam con i suoi incredibili travestimenti e di un’estetica che guarda agli oggetti di consumo ed alle divinità televisive. La lezione che esce dalla Factory, che ha visto Jim Morrison tra le braccia di Nico in un amplesso tra dei umani incamminati sulle orme di Prometeo, è a suo modo semplice e dirompente: l’arte è di tutti, può essere fatta de tutti per tutti. Una vera e propria rivoluzione, di cui ancor oggi sentiamo le dirompenti conseguenze: non le competenze tecniche, il bel disegno (Warhol faceva serigrafie) non gli aulici temi neoclassici o le elaborazioni intellettuali delle avanguardie, le poetiche cartesiane, l’ispirazione a Freud o altre diavolerie.
Non a caso Warhol è stato un talent scout di artisti di una generazione più giovane come Keith Haring e Basquiat (dipinsero anche tele a 4 mani con quest’ultimo) a dire che la stessa street art è a tutti gli effetti molto influenzata dal maestro della Pop Art, anche se con una chiave di lettura più politica ed esistenziale. Spero di avervi disegnato un contesto ed ora calatevi nella playlista, CLICCATE QUI per immergervi e scoprirete che contiene o artisti che parlano di Warhol o a cui Warhol ha dedicato opere, di cui ha fatto le copertine, che bazzicavano la factory, amici suoi, parte del suo immaginario… Buon viaggio.