C'è un modo di suonare sicuro, c'è un modo di usare i trucchi e c'è il modo in cui mi piace suonare, che è quello pericoloso, in cui si rischia di sbagliare per creare qualcosa che non si è mai creato prima.
Pensa che Duke Ellington non abbia ascoltato Debussy? Louis Armstrong amava l'opera, lo sapevate? Nominatemi un pianista jazz che non sia stato influenzato dalla musica europea!
Dave Brubeck
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Qui nell’estrema Islanda, dove mi sono temporaneamente stabilito, le nuvole fanno presto a farsi pioggia battente o peggio tempesta e le giornate son cortissime. È l’ora di concedersi una parentesi luminosa. Allora insieme a voi torniamo al jazz ed a qualcosa di allegro, ad una nota di spensieratezza e di gioia, come la musica sa generosamente regalare. Arrivano cronache cupe dal mondo, venti di guerra, crude immagini di morte. In parallelo ai tempi della guerra fredda la spada di Damocle di un conflitto nucleare avvelenava la scena politica e in più di un’occasione lo scontro fu sfiorato. Malgrado questo Dave Brubeck seppe regalarci proprio in quegli anni musiche piene di vita che ancor oggi testimoniano di una particolare sensibilità ed uno stile immediatamente riconoscibile.
Mi ficco nelle orecchie un paio di auricolari ed esco a passeggiare seguendo il sentiero verso il mare, con la sua sabbia nera di origine vulcanica ed il cielo tra il blu ed il grigio metallizzato che sembra a portata di mano con un semplice salto od una salita in cima ad una collina. Brubeck imbastisce nella mia testa le sue trame per quartetto, sul mare incontro un paio di soldati americani in libera uscita. Qui c’è una base dismessa della US Navy e della Air Force, ora passata agli Islandesi, ma gli americani si fanno ancora vivi ultimamente come consulenti o per ragionare dell’invadenza sottomarina Russa con i generali locali. Hanno delle vistose cuffie colorate sulla testa e corpi grandi, capelli cortissimi e occhi freddi. Staranno ascoltando Brubeck anche loro o Eminem? Non lo sapremo mai, mentre mi è sempre più chiaro il dialogo con la musica classica del nostro pianista, con una particolare sensibilità per la melodia ed i tempi dispari.
Da qui sembra di essere lontani dal pianeta terra e mentre Paul Desmond mi accarezza le orecchie con il suo sax seguo i fraseggi di Brubeck al pianoforte. Si respira ad ogni nota l’atmosfera della seconda metà degli anni 50 e questo desiderio di ritrovare la spensieratezza che si era dissolta con la guerra e la morte. Anche noi affogati in una feroce pandemia, lontani ed isolati cerchiamo anche sotto i sassi quei sorrisi e quelle atmosfere di condivisione e divertimento puro che sa trasmettere la musica di Brubeck, la spontaneità del jazz, unita ad un approccio negli arrangiamenti che guarda alle strutture codificate nella musica classica.
Tra funambolici tempi dispari ed altre acrobazie, il suono scorre comunque fluido, senza intellettualismi e senza mai cadere nel vuoto di una superficialità fatta per inseguire il facile successo. Ecco la musica del nostro jazzista è efficace, capace di accompagnarti nel vento islandesea e allo stesso tempo di commentare i giochi di due bambini biondissimi in un cortile con una bella staccionata di un vivace azzurro, mentre ripiego verso l’albergo lungo un sentiero con sassi neri che sembrano pezzi di cielo caduti durante la notte.
Dave Brubeck amava evidentemente la vita e la vita lo ha ricambiato con 92 anni di permanenza sul pianeta terra. Lui bianco nel jazz che è musica prevalentemente dei neri ha saputo anche con la sua arte spezzare l’idea di una forma espressiva da relegare in un genere, come le persone di colore da rinchiudere ai margini della società americana allora immersa in un feroce razzismo, combattuto da Brubeck pubblicamente e senza compromessi. Lo amiamo anche per questo Dave.
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Dave Brubeck: jazz.
There’s a way of playing safe, there’s a way of using tricks and there’s the way I like to play which is dangerously where you’re going to take a chance on making mistakes in order to create something you haven’t created before.
Do you think Duke Ellington didn’t listen to Debussy? Louis Armstrong loved opera, did you know that? Name me a jazz pianist who wasn’t influenced by European music!
Dave Brubeck
Here in remote Iceland, where I've temporarily settled, the clouds quickly turn into heavy rain or, worse, storms, and the days are very short. It's time to take a bright break. So, with you, let's return to jazz and something cheerful, a note of carefreeness and joy, as music generously knows how to provide. Dark reports from the world arrive, winds of war, grim images of death. Parallel to the times of the Cold War, the sword of Damocles of a nuclear conflict poisoned the political scene, and on more than one occasion, a clash was narrowly avoided. Despite this, Dave Brubeck managed to give us music full of life in those years, which still testify to a particular sensitivity and an immediately recognizable style.
I put a pair of earphones in my ears and head out for a walk along the path towards the sea, with its black volcanic sand and the sky alternating between blue and metallic gray, seeming within reach with a simple jump or a climb to the top of a hill. Brubeck weaves his quartet compositions in my head as I encounter a couple of American soldiers on leave by the sea. There's a disused base here, once used by the US Navy and the Air Force, now in Icelandic hands, but Americans have been making appearances lately as consultants or to discuss Russian submarine intrusions with the local generals. They have conspicuous colorful headphones on their heads, large bodies, very short hair, and cold eyes. Are they also listening to Brubeck or Eminem? We'll never know, while my dialogue with the classical music of our pianist becomes clearer to me, with a particular sensitivity to melody and odd rhythms.
From here, it feels like we're far from planet Earth, and as Paul Desmond caresses my ears with his saxophone, I follow Brubeck's piano phrasing. With every note, you can sense the atmosphere of the second half of the 1950s and the desire to rediscover the carefreeness that had dissolved with war and death. Even we, drowning in a ferocious pandemic, distant and isolated, search even under the rocks for those smiles and the atmosphere of sharing and pure fun that Brubeck's music conveys, the spontaneity of jazz, combined with an approach to arrangements that looks at the structures codified in classical music.
Between acrobatic odd times and other feats, the sound still flows smoothly, without intellectualism and without ever falling into the void of superficiality made for chasing easy success. This is the music of our jazz musician – effective, capable of accompanying you in the Icelandic wind, while at the same time commenting on the games of two very blond children in a courtyard with a vibrant blue fence. I make my way back to the hotel along a path with black stones that seem like pieces of sky fallen during the night.
Dave Brubeck clearly loved life, and life reciprocated with 92 years of his presence on this planet. As a white man in jazz, a genre predominantly associated with Black artists, he managed to break the notion of an expressive form confined to a specific genre, just as people of color were being marginalized on the fringes of American society, which was deeply entrenched in a fierce racism at that time. Brubeck fought against this racism publicly and uncompromisingly. We love him for this too, Dave.
I enter in a pub as a furious wind rises in the street, and I find Mr. Pian Piano asleep on the couch. He left dinner for all of us: CLICK HERE to discover the class of great jazz in a journey through the perfect melodies of the Dave Brubeck Quartet and the rhythmic refinements of his compositions.
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